Mangiati sto topo: vizi e virtù del cuy arrosto

Si chiama "porcellino d'India" nonostante sia originario del Sudamerica, e infatti è proprio sulle Ande che è molto diffuso. Non come come animale da compagnia, ma come prelibatezza culinaria. Dura da credere, ma il cuy è il più famoso piatto tipico degli altopiani: una di quelle portate che non lascia indifferenti gli stranieri: che lo amano o lo odiano.

Sui motivi dell'amore come non menzionare l'aspetto esotico e trasgressivo, la carne tenera e la pelle croccante, con quelle articolazioni morbide da succhiare. Per contro, la vista di zampine e dentini è inquietante, e così il musetto da ratto che uno si ritrova nel piatto. Così come non è semplice sgranocchiare senza avere un po' di disgusto quegli ossicini da topolino grande come una gatto. 

Ma sono forse ancor più da brividi i negozi dove i cuy vengono venduti, proprio come noi facciamo con polli e conigli. Praticamente degli obitori dove schiere di porcellini sono coricati, stecchiti, dentro vassoi nei banchi frigo. 

IMG_1835.JPG
IMG_1838.JPG
IMG_1842.JPG

E se nella maggior parte dei ristoranti del Perù, soprattutto in città molto visitate come Cusco e Arequipa, il cuy è cucinato da molti ristoranti come strumento acchiappaturisti, nel resto del paese è invece uno dei piatti dalla grande tradizione. L'usanza di arrostirlo proprio come se fosse un pollo è una tradizione indigena che risale ai tempi degli inca. Oltretutto con benefici dal punto di vista nutrizionali: è ricco di proteine e povero di colesterolo. «Con pochissimi grassi», spiegano sempre i camerieri ai tanti turisti incuriositi, di solito distinti tra chi trema dalla nausea appena vede la bestia dentro un piatto e chi invece si sente un figo - chissà perché - a farsi fotografare mentre mangia un topo arrosto.

IMG_6447.JPG