CAMBOGIA, GLI ULTIMI DOMATORI ELEFANTI

 

Vivono nelle montagne al confine con il Vietnam, in villaggi nella giungla. Sono di etnia Bunong, una minoranza che si tramanda da sempre la lingua per comandare gli elefanti. Ma dal 2004 il numero di animali domestici si è dimezzato e non potrà aumentare: in trent’anni scompariranno, e con loro la capacità dei Bunong di comandarli.


IL SOLE E' SORTO da poco ma il villaggio di Putang è già in subbuglio. Un gruppo di persone recita una preghiera intorno a un elefante, mentre un uomo lo accarezza con un ramoscello intinto nell’uovo. Sembrava un mattino come tutti gli altri: il contadino Pouto, 34 anni, 10 figli e una casa di bambù nella Cambogia orientale, si era addentrato nella giungla per riprendere Mellok, il suo elefante.

La sera prima lo aveva legato a un albero con una catena di ferro, affinché potesse cibarsi senza devastare le piantagioni di banane. Ma questa mattina Mellok era ancora appisolato. «Nessuno deve mai vedere un elefante dormire – spiega allarmato Pouto – E’ un brutto presagio per il villaggio. Serve una cerimonia con il sacrificio di un uovo per allontanare gli spiriti malvagi».

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Il mahout Pouto allontana gli spiriti malvagi

In queste remote montagne della regione di Mondulkiri, al confine con il Vietnam, sopravvivono gli ultimi elefanti della Cambogia. In piccoli villaggi nella giungla abitano i Bunong, un’etnia animista nota anche con il nome di Pnong: vivono in simbiosi con la natura e si tramandano da sempre il segreto per addomesticare gli elefanti. «E’ una tradizione ereditata dagli antenati», racconta Pocan, 47 anni, contadino e mahout, parola di origine hindi che indica “chi cavalca l’elefante”.

«Tutti gli uomini Bunong sono mahout. Abbiamo imparato da piccoli insieme ai nostri padri. Così hanno fatto loro, e i padri dei loro padri». Ma per i bambini di oggi proseguire la tradizione è sempre più difficile perché in Cambogia gli elefanti sono quasi estinti: catturare quelli selvatici è illegale, mentre quelli domestici sono sempre meno e un solo animale appartiene anche dieci famiglie contemporaneamente.

Il mahout Teb

Il mahout Teb

L’attenzione verso gli elefanti cambogiani è nata grazie al WWF negli anni ’90, quando è terminata la guerriglia che per vent’anni ha sconvolto il Paese. Si è così scoperto che gli elefanti asiatici – specie a rischio di estinzione di cui restano circa 30 mila esemplari in tutto il continente - erano quasi scomparsi. Decimati dalla caccia, dalla deforestazione e dalle mine antiuomo, in Cambogia ne sopravvivono 250-290 allo stato selvaggio, quasi tutti nelle foreste di Mondulkiri.

Quelli addomesticati sono circa un’ottantina: 15 trasportano i turisti nella zona archeologica di Angkor, a Siem Reap; 51 vivono nei villaggi dei Bunong, a Mondulkiri, ma il loro numero continua a diminuire perché non si riproducono, l’età media è elevata e molti hanno malattie che non vengono curate. Con l’arrivo del turismo, che ha convertito gli elefanti dei Bunong in bestie da soma per i trekking, i ritmi di lavoro sono diventati insostenibili e la situazione si è aggravata.

Il villaggio di Putang

Il villaggio di Putang

BUNONG E MAHOUT, UNA TRADIZIONE SECOLARE

I Bunong condividono da sempre la vita con gli elefanti, che vengono considerati membri della famiglia e sono protagonisti nei riti religiosi. Sono utilizzati nei lavori pesanti, come disboscare o trasportare tronchi per costruire case e ponti. Mangiare la loro carne è un tabù perché secondo un’antica leggenda gli elefanti un tempo erano uomini: trasformati in animali come per magia, scelsero di vivere nella giungla ma promisero all’uomo che avrebbe potuto contare per sempre su di loro.

Prima della presa del potere da parte dei Khmer rossi negli anni ’70, quasi ogni villaggio Bunong aveva diversi elefanti e il numero posseduto da una famiglia indicava benessere e stato sociale. Con l’ascesa del dittatore Pol Pot i Bunong furono obbligati a trasferirsi nelle ancor più remote foreste a nord e molti elefanti furono uccisi dai guerriglieri per sfamarsi con la carne e venderne l’avorio. Da quel momento il loro numero a Mondulkiri è costantemente diminuito.

Per i Bunong la cattura degli elefanti è sempre stato un atto mistico, intriso di preghiere e sacrifici agli spiriti. Gli uomini partivano dai villaggi con tre o quattro elefanti domestici e la caccia poteva durare settimane, perché gli elefanti selvaggi sono difficili da scovare e hanno paura dell’uomo. Si cercavano animali separati dal branco: con un laccio di cuoio si prendeva al lazo una zampa posteriore, poi veniva legato e sfamato per mesi, in modo da abituarlo alla presenza degli uomini. «La cattura è un rituale scomparso – concordano i mahout di Putang - di cui non ci sono più notizie dalla fine della guerra».

Nel 2004 l’ong statunitense Refugees International, che ha lavorato con la popolazione Bunong per salvarne le tradizioni, ha scovato nel villaggio di Pautrom un anziano cacciatore di elefanti, Moe Chan. «L’ultimo domatore che sapeva insegnare a un elefante domestico come inseguire un elefante selvaggio è morto tanto tempo fa – assicurava - E io sono uno degli ultimi cacciatori rimasti».

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Villaggio di Putang

 GLI UOMINI CHE PARLANO AGLI ELEFANTI

Comandare l’elefante è un compito difficile perché le briglie non servono a nulla con un bestione di quattro tonnellate. Agli elefanti bisogna parlare, e solo i Bunong sanno come fare. «Ma con loro non usiamo le parole – precisa il contadino e mahout Aong, 33 anni e sei figli maschi - Parliamo una “lingua degli animali”». Una lingua fatta di urla, grugniti, fischi ed esortazioni roche, che Aong ha imparato da bambino nel villaggio di Putang.

«Gli elefanti capiscono numerosi comandi – continua agitando il suo frustino di bambù con una biglia d’osso sulla punta - Avanti, stop, sinistra, destra. Prendi con la proboscide, posa. Alzati, siediti, non ti fermare. Tutto quello che serve per lavorare. Ma per insegnare un comando nuovo ci vuole tempo e pazienza». Come molti mahout di Mondulkiri Aong cavalca l’elefante senza sella e si siede sul collo rugoso e irto di peli. «La mia famiglia aveva quattro elefanti. Mio papà aveva l’elefante di suo nonno, una bestia enorme vissuta sino a 120 anni», giura sincero.

L’elefante asiatico vive in media 65-70 anni, ma tutto è possibile in una terra dove non è scontato avere un cognome o ricordare esattamente la propria età. «Il mio figlio più grande ha sei anni e guida l’elefante con me, nel villaggio – continua – A dieci anni potrà andare da solo nella giungla. Deve imparare alla svelta per portare in giro i turisti».

Il mahout Aong

Il mahout Aong

I TREKKING CON GLI ELEFANTI

Con la nuova strada asfaltata che dal 2011 collega Phnom Penh a Sen Monorom, il capoluogo di Mondulkiri, la regione è diventata una destinazione turistica e il trekking con gli elefanti un’attrazione della Cambogia. Tutti gli alberghi e i ristoranti organizzano escursioni nella giungla a dorso di elefante e pernottamenti con le famiglie dei Bunong.

Il villaggio di Putang, 450 abitanti, è a soli a dieci chilometri da Sen Monorom ed è il paese che più beneficia del turismo. La piazza centrale è uno slargo di terra rossa tra le palafitte, dove i bambini giocano al pampano e rincorrono i polli. Nel villaggio ci sono sei elefanti, ma il numero dei turisti è ormai così numeroso che i mahout ne affittano una decina dai villaggi circostanti. «Per noi è una fortuna – esclama in un discreto inglese Nara, 35 anni, guida turistica da un anno – Possiamo guadagnare qualche dollaro portando gli stranieri nella giungla, anziché lavorare tutti i giorni come contadini nei campi di riso». Durante le escursioni Nara mostra le abitazioni di cugini e fratelli, capanne circolari di bambù con il tetto di paglia. Ospita i turisti nella sua casa, su amache appese alle pareti di legno. Il pavimento è in terra battuta, il fuocherello al centro della cucina invade la casa di fumo e riscalda l’aria fredda di montagna.

A Putang mancano il gas e l’acqua corrente, l’elettricità è arrivata da poco ma si continua a vivere con il ritmo del sole. Nara ha quattro figli ma solo le femmine vanno a scuola, il maschietto di casa ha 10 anni e pascola le mucche tutti i giorni. «Mio fratello Chop lavora come mahout perché ha sposato una donna con un elefante – dice Nara con un pizzico di invidia - Anche io ero un mahout. Ma l’elefante della nostra famiglia è morto di vecchiaia e non avremo mai i soldi per comprarne un altro».

Dintorni del villaggio di Putang

Dintorni del villaggio di Putang

IL SANTUARIO DEGLI ELEFANTI

Il crollo del numero di elefanti cambogiani attira da anni l’attenzione di attivisti e volontari occidentali, che raggiungono la regione di Mondulkiri per curare gli animali e aiutare al popolazione dei Bunong. Nel 2006 a Sen Monorom è nato l’Elephant Livelihood Initiative Environment, una ong fondata dall’inglese Jack Highwood - 32 anni, all’epoca reduce da un’esperienza come mahout in Thailandia - per assistere gli elefanti domestici malati e proteggere l’ambiente di quelli selvaggi.

Il progetto si è ampliato con l’Elephant Valley Project, un riserva di elefanti nel “Keo Seima”, un'area protetta dalla fondazione WCS. «L’elefante è un animale selvaggio e ha diritto a vivere come tale» spiega Jack Highwood, ideatore del progetto. «All’EVP abbiamo creato un compromesso, un luogo dove gli elefanti domestici non debbano lavorare ma possano dare ai Bunong un reddito». Ai mahout che lasciano gli elefanti nella riserva la ong paga infatti la cifra che guadagnerebbero in quel periodo con l’animale. I mahout possono badare all’animale e dormire nella riserva, dove l’EVP ha costruito delle abitazioni per non interrompere i riti religiosi delle famiglie con gli elefanti.

Nell’Elephant Valley Project ci sono nove elefanti: i turisti possono osservarli pascolare oppure collaborare con la ong come volontari. I proventi sono investiti nella tutela degli animali e a favore delle popolazioni Bunong, con l’istruzione di nuovi mahout e l’assistenza sanitaria e scolastica per 1500 persone.

Elephant Valley Project

Elephant Valley Project

LE PROTESTE DEI BUNONG E IL RICATTO DEL TURISMO

I rapporti tra i Bunong, le ong e il WWF non sono però facili. Molti abitanti dei villaggi non capiscono perché delle organizzazioni occidentali debbano interferire con uno stile di vita antico di generazioni. Da quando la legge vieta di catturare gli elefanti selvatici, infatti, i Bunong sono obbligati ad acquistarli dal Laos al prezzo di 10 mila dollari l’uno.

«Una cifra enorme per un Paese dove una guida guadagna 180 dollari al mese – assicura il mahout Teb, pelle scura come la terra e baffetti da moschettiere – L’unico modo per trovare i soldi è comprare l’elefante insieme ad altre famiglie, ma anche così può essere impossibile. Non resta che il baratto tra villaggi, un elefante in cambio di 25 bufali». Alla difficoltà di acquistare nuovi elefanti si aggiungono le conseguenze negative del turismo, che sta minando la salute degli esemplari rimasti.

«Si è sviluppato troppo in fretta e non ci sono più abbastanza elefanti - chiarisce Jemma Bullock, project manager dell’EVP – I poveri mahout dei villaggi sono ricattati dalle agenzie turistiche, che minacciandoli di mandare altrove i visitatori li costringono a sottoporre le bestie a turni di lavoro massacranti. Gli elefanti sono animali con ritmi di vita lenti, che necessitano di molte ore per nutrirsi, digerire e riposare. I Bunong li hanno sempre rispettati e non li impiegavano per più di tre ore al giorno. Ma da quando esistono i trekking lavorano da mattina a sera».

La casa di un mahout

La casa di un mahout

UN MONDO CHE SCOMPARE

In un report del 2004 sulla tutela della cultura Bunong, l’ong Refugees International contava cento elefanti e denunciava: «Il tradizionale uso degli elefanti per il disboscamento e il trasporto sta diminuendo, mentre il valore degli elefanti cresce. Le popolazioni, spesso a corto di cibo e denaro, vendono gli elefanti a società di Siem Reap, dove sono usati per trasportare i turisti intorno ai templi di Angkor».

A distanza di dieci anni a Mondulkiri ci sono 51 elefanti domestici. Con l’arrivo del turismo ne servirebbero molti di più, ma il loro numero non potrà aumentare: acquistarli è troppo costoso, catturarli è vietato e i Bunong non vogliono allevarli perché secondo la loro tradizione devono nascere in libertà. «L’attuale popolazione di elefanti domestici sarà probabilmente l’ultima di Mondulkiri», prevede Jack Highwood. «La capacità dei Bunong di badare agli elefanti scomparirà quando l’ultimo elefante domestico morirà. Non sappiamo quando accadrà, dipende da quanto lavoreranno. Ci vorranno venti, forse trent’anni; alcuni vivranno un po’ di più, ma in tanti moriranno prima. La nostra battaglia è tenerli in vita il più a lungo possibile»