Visitare un villaggio del Senegal (in cambio di una capra)

Scoprire la vita dei villaggi in Senegal non è semplice, perché non sono segnati nelle mappe e si raggiungono solo con sentieri sterrati. Ma è un’esperienza che vale il viaggio. E’ possibile farlo a Sossop, un gruppetto di capanne e granai a una ventina di chilometri da Thiadiaye, lungo la strada che da Dakar porta al sud del Paese. L’associazione italiana One Love Onlus, fondata da un ex giocatore di pallacanestro di Pistoia, Giacomo Simonini, accoglie volontari e visitatori in cambio di una piccola donazione.  «Possibilmente un animale per il villaggio, accompagno io stesso a comprarli nel mercato qui vicino», spiega Giacomo, barba folta e cantilena toscana.

Giacomo Simonini di One Love

Giacomo Simonini di One Love

Se in tutto il Senegal bisogna essere pronti ad adeguarsi, a Sossop ancora di più: si dorme su un materassino coperto dalla zanzariera, l’acqua si prende dal pozzo e le uniche luci sono alimentati dai pannelli solari di Liter of Light, un'impresa sociale di Prato. A prima vista può sembrare piacevolmente bucolico, ma ci vuole sempre rispetto, ricorda Giacomo. «Il Senegal entra nel cuore dei turisti perché è “genuino”, ma è anche un Paese dove metà della popolazione vive senza elettricità e l’acqua corrente è un lusso. E chi ha problemi di salute non ha possibilità di curarsi perché non hai soldi necessari».

La visitatrice Selena prepara il letto per la notte

La visitatrice Selena prepara il letto per la notte

Dal pozzo

Dal pozzo

Il villaggio

Il villaggio

A Sossop non c'è molto: un gruppo di capanne, un orto e la scuola costruita grazie all'associazione One Love.  Il problema è che quella scuola è l'unica della zona, e i bambini dei villaggi vicini non la frequentano.  I genitori non vogliono farli camminare chilometri nella savana perché il sole è cocente, camminare stanca e quanto tornano a casa spesso non hanno cibo a sufficienza per sfamarli. In primavera il problema si aggrava: sempre più caldo, sempre meno cibo. Il prossimo obiettivo è acquistare un cavallo e un carro, così One Love potrà mandare un volontario in giro per i villaggi per fare un carro-scuolabus e aumentare il numero degli iscritti nella scuola

La scuola del villaggio

La scuola del villaggio

L'associazione One Love è felice di accogliere i volontari durante tutto l'anno, escluso luglio e agosto.  Sono richieste: buona capacità di adattamento alle condizioni abitative, al clima, alle abitudini e allo spirito di gruppo; essere disponibile per tutte le attività che saranno svolte nel periodo di permanenza, rispettando lo stile di vita e gli orari dell'associazione. Per quanto riguarda i visitatori occasionali, sono i benvenuti. Per informazioni, cliccare qui.

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In volo sul deserto dalla Tunisia alla Mauritania. Il Sahara è uno spettacolo.

Un volo dal Mediterraneo all’Atlantico, dalla Tunisia alla Mauritania. In mezzo quattromila chilometri di deserto, con una vista mozzafiato di Algeria e Sahara Occidentale.

Durante le quattro ore di viaggio si vedono i tre paesaggi principali del Sahara: l’hammada, che con terreni rocciosi aridi e brulli è l’ambiente più diffuso; il serir, caratterizzato da ciottoli e ghiaia; l’erg, con le caratteristiche dune di sabbia trasportata dal vento. 

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L'arrivo in Mauritania, sull'Oceano Atlantico

L'arrivo in Mauritania, sull'Oceano Atlantico

Nuackhott, la capitale della Mauritania.

Nuackhott, la capitale della Mauritania.

(Repubblica.it, 26 marzo 2016)

Salgado, la Genesi del mondo in bianco e nero

Alla fine degli anni Novanta - dopo aver raccontato migrazioni umane senza precedenti, fughe da guerre e disastri naturali - il fotografo Sebastião Salgado aveva perso la fiducia nell’umanità. Ritornato a vivere in Brasile nella fazenda di famiglia, un paradiso che la deforestazione aveva lasciato senza vita, con la moglie Lélia ha cominciato ripiantare gli alberi. Migliaia di alberi. In poco tempo sono ricomparsi gli uccelli, i fiori, le farfalle. Ed è nata l’idea di un nuovo progetto: raccontare, per la prima volta, la bellezza del pianeta. Tornare al tempo delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti che hanno modellato la Terra; agli animali selvaggi, alle tribù con uno stile di vita immutato da secoli. Un progetto monumentale, che rimandasse alla creazione, all’aria, all’acqua, al fuoco da cui è nata la vita. Decisero di chiamarlo Genesi.

© Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto

© Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto

La mostra di Sebastião Salgado, il più grande fotografo documentarista del nostro tempo, arriva a Genova sabato 27 febbraio. Oltre duecento fotografie, che con un proverbiale - e meraviglioso - bianco e nero - spaziano dalle foreste tropicali dell’Amazzonia e del Congo ai ghiacciai dell’Antartide; dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’Africa sino alle montagne di Cile e Siberia. Finanziato da numerosi sostenitori privati- e anche grazie ad accordi con testate come Rolling Stones, The Guardian e Repubblica - dal 2004, per otto anni, Sebastião Salgado ha fatto 32 viaggi nei più remoti angoli del globo. Spesso con la moglie Lélia, a volte con il figlio Juliano, quasi sempre con il collega e assistente Jacques Barthélemy.

© Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto

© Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto

Sebastião si è spostato a piedi, in barca, su piccoli areoplani, in mongolfiera, con carovane di muli. Ha fotografato vulcani, iceberg, deserti e foreste, sempre scontrandosi con la natura e ilclima di luoghi visitabili in precisi momenti dell’anno: il Polo sud ha temperature accessibili solo di estate, il Brasile è spesso vittima delle inondazioni, l’Indonesia ha una breve stagione secca.  Genesi è il racconto di questi viaggi, ma è anche un’ode alla bellezza e alla fragilità della Terra. Come ama dire Salgado, «una lettera d’amore per il pianeta».  L’approccio non è quello del giornalista e nemmeno dello scienziato, ma il desiderio romantico di esplorare paesaggi e popoli non contaminati dall’uomo moderno. Il mondo di pinguini, balene e leoni marini, dominatoda mandrie di gnu ed elefanti, abitato dagli Indios Zo’è in Amazzonia e dai Korowai in Papua Nuova Guinea.  

Genesi vuole far conoscere questa meraviglia, da «proteggere e conservare per le generazioni future», ripete con speranza, Sebastião Salgado. «Perché il 46% del mondo è ancora com’era al momento della creazione». La mostra è prodotta da Civita su progetto di Contrasto e Amazonas Images; sarà visitabile nel Sottoporticato, in piazza Matteotti 9, sino al26 giugno. Orari: lunedì 14 – 19; da martedì a domenica 10 – 19. La biglietteria chiude un’ora prima.


Gita in Transnistria, tra carri armati e statue di Lenin

I punti di confine con la Moldova sono diversi. E non tira mai una buona aria, tra carri armati in mezzo alla strada e militari in tuta mimetica. Con pochi euro si ottiene il permesso di entrare: a mettere un timbro su un foglietto è una guardia con colbacco che non parla nemmeno una parola di inglese. Ma una cosa riesce a farmela capire: questo "visto" dura 10 ore, quindi non posso fermarmi a dormire. E occhio, perché alle 18 chiude la frontiera. Benvenuti in Transnistria: l'autoproclamata Repubblica di Transnistria.

Un punto di confine tra Moldova e Transnistria

Un punto di confine tra Moldova e Transnistria

La Transnistria è un sottilissimo lembo di terra a est del fiume Dnestr, tra Moldova e Ucraina. Uno stato indipendente de facto (non riconosciuto dai Paesi membri dell'Onu) che gli abitanti chiamano "Repubblica Moldava di Pridnestrovie".   Un paese "vero": con un proprio confine, un esercito, la polizia ed un servizio di intelligence che si chiama ancora Kgb. La lingua ufficiale è il russo, il romeno è di fatto bandito. Bandito come la moneta della Moldova, il leu: qui si paga con il rublo della Transnistria. Al massimo con il rublo di Mosca.

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

La capitale della Transnistria è Tiraspol, una città di quasi duecentomila persone a dieci chilometri dal confine con l'Ucraina. Una guida turistica politicamente corretta la definirebbe "sonnacchiosa, il cui fascino si svela poco a poco". C'è poco da svelare: i negozi sono pochissimi e vendono cianfrusaglie e se vuoi mangiare, anche se ti piacciono le bettole, non sai dove andare. Dopo aver camminato a lungo all'ora di pranzo ho trovato una fast food con cibi russi: erano freddi e facevano schifo.

Anche il mercato è piuttosto "sonnacchioso", con pile di uova, alcolizzati e venditori di formaggio. Le guardie mi hanno inseguito minacciandomi di rompere la macchina fotografica se non cancellavo le foto.

Al mercato

Al mercato

Al mercato

Al mercato

Una gita in Transnistria è fattibile, anche se non è propriamente sicuro e il Ministero degli esteri italiano sconsiglia esplicitamente di farlo. Anche perché - essendo la Transnistria un Paese fantasma, non riconosciuto dall'Italia, non sarà possibile un intervento in caso di necessità.  Il problema principale non sono tanto la criminalità organizzata, i trafficanti, e il mercato nero (non per i turisti, almeno) quanto la corruzione delle forze dell'ordine, che inventano trasgressioni pretestuose per spillare soldi ai pochissimi stranieri che incontrano per le strade.  Sono stato in Trasnistria per poche ore, ed è successo: in una strada senza traffico, (nella foto qui sotto) ho attraversato fuori dalle strisce. Due poliziotti molto zelanti (e molto aggressivi) mi hanno inseguito e hanno iniziato a intimarmi di seguirli. In russo mi hanno fatto capire che avrei dovuto pagare una multa. Non li ho seguiti, inteso: la discussione è andata avanti un po', ho alzato la voce anche io, e mi hanno lasciato andare.

La casa del Soviet

La casa del Soviet

D'altronde, per un poliziotto locale un turista è un bel pollo da spennare. E non è che ti capiti davanti tutti i giorni, visto che la Trasnistria è tra i Paesi meno visitati al mondo. Basti che pensare che secondo i dati del Wto, l'Organizzazione mondiale del turismo, dal 2010 a oggi gli stranieri che hanno passato almeno una notte in Moldova oscillano intorno a quota 10 mila all'anno: è di gran lunga il paese meno visitato d'Europa, e si contende le ultime posizioni nel mondo con isole sperdute nel Pacifico. Figurarsi la Trasnistria, che è molto più piccola della Liguria ed è a costante rischio di invasione da parte della Russia (un'invasione che per il Governo autoproclamato sarebbe la benvenuta, visto che sogna l'annessione a Mosca, specialmente dopo il fattaccio della Crimea).

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E oltretutto non ci sono attrazioni turistiche, neanche per sbaglio. A parte la fabbrica di brandy (che però era chiusa). La libreria nella via principale, che vende gli stemmi della Pridnestrovie, conla scritta in cirillico e la falce e il martello tra i fasci di grano. E poi vabbè, le statue di Lenin. Molto sobrie. Che per chi è nato quando l'Urss era già moribonda, valgono da sole il viaggio.

Il palazzo del presidente

Il palazzo del presidente

La casa del Soviet

La casa del Soviet

(HuffPost, 9 marzo 2016)

 

 

 

Viaggio nella città di "Cronaca di una morte annunciata"

A Mompox tutti gli uomini cercano di attaccare bottone con gli italiani. «Trent’anni fa, qui è c’è stata la donna più bella del mondo», raccontano con gli occhi ancora sognanti.  Basta trovare una vecchia locandina in un bar per capire il perché. Siamo in Colombia, dove «l’unico rischio è di volerci restare». All’ente nazionale del turismo non manca l’ironia nel promuovere un paese ricco di meraviglie storiche e naturali, ma noto al mondo per il passato violento.

Mompox. venditore di Ananas

Mompox. venditore di Ananas

Mompox

Mompox

Raggiungere Mompox è un viaggio difficile, faticoso e indimenticabile.  Mompox è nel nord della Colombia, a 100 chilometri dal Venezuela. Le città più vicine sono Cartagena, Barranquilla (famosa per la sua bruttezza finché non è nata lì Shakira) e la pericolosa Cucuta.  Io l’ho raggiunta partendo all’alba da Medellin, circa 700 chilometri più a sud, con un infinito viaggio in bus lungo la Panamericana.  I posti di blocco sono frequenti, e agli autobus capita più volte al giorno di essere fermati per controlli di bagagli e documenti da parte di militari armati di mitra. Il bus mi lasciò nel tardo pomeriggio su un bivio lungo l’autostrada, indicandomi un furgoncino sovraffollato che stava aspettando proprio me.  Siamo partiti a rotta di collo, attraverso un paesaggio brullo ma molto bello, praticamente disabitato. L’unica fermata è arrivata dopo un’ora a Maganguè, sul fiume Magdalena.

Maganguè

Maganguè

Mi hanno detto di fare veloce perché l’ultima barca sarebbe partita poco dopo. Sono montato sopra una chalupa che ormai il sole stava tramontava, e per più di mezz’ora ho navigato questo fiume gigantesco, di cui in Europa nemmeno conosciamo l’esistenza. Abbiamo attraccato a un molo di cemento in mezzo al nulla. Era buio. Un gruppo di ragazzetti più piccoli di me hanno cominciato a venirmi in contro. «Ola amigo, ola amigo», hanno cominciato a urlare cercando di trainarmi alla loro moto. Io in effetti non sapevo quale scegliere: da lì ci sarebbero stati 50 chilometri nel buio più totale, in sella con uno sconosciuto.

Mompox

Mompox

Un tassista si è avvicinato e mi ha detto. «Vieni con me, in moto è davvero pericoloso. L’asfalto è un disastro, la strada è piena di pietre e solo chi guida ha il casco. Se ti va bene che non cadi, rischi di spaccarti la testa con un sasso che salta. Io tanto devo tornare a Mompox perché abito là. Mi bastano cinque dollari». Mi ha convinto. Dopo un’ora di strada devastata, Mompox. Afosa, fatiscente, meravigliosa. Unica città costruita tra due fiume immensi su cui nessuno ha costruito i ponti, il Rio Cauca e il Rio Magdalena. Ecco perché è così difficile da raggiungere. A Mompox il tempo è fermo a fine ‘800, quando i commerci fluviali deviarono la resero completamente isolata, troppo scomoda anche per la guerriglia e i narcotrafficanti.

Mompox

Mompox

Patrimonio dell’Unesco dal 1995, a Mompox non c’è assolutamente nulla da fare e il bello è proprio questo. Si può chiacchierare con i mercanti che abitano in barche colme di ananas, guardare i cani randagi che si azzuffano oppure giocare a carte lungo il fiume davanti a un succo tropicale. Ma appena capiscono che stanno parlando con un italiano, gli uomini vanno a finire tutti lì,  «alla donna più bella del mondo». Basta fare un giro nei bar e nei piccoli negozietti per capire. In una ho trovato un locandina, ingiallita.

Era il 1986 e il regista Francesco Rosi girò a Mompox ‘Cronaca di una morte annunciata’, dal romanzo di Gabriel Garcia Marquez. Nel ruolo di Angela Vicario, la protagonista del romanzo, una giovane e meravigliosa Ornella Muti.

(L'Huffington Post, 27 novembre 2015)

 

 

Tutti pazzi per la Corsica all'orizzonte

Gli avvistamenti sono cominciati questa mattina all’alba, con un po’ di incertezza se fossero davvero le montagne del “dito” o banchi di nubi all’orizzonte. Ma con il passare delle ore non ci sono stati più dubbi: oggi la Corsica era visibile da tutta la Liguria, da Sanremo sino a Lerici. Sono stati in tanti a fotografarla - chi con il cellulare, chi con macchine e zoom da professionisti – e condividere gli scatti sui social network. Esiste addirittura il gruppo Facebook “Corsica, l’isola che non sempre c’è”, con 2259 membri uniti dalla stessa passione: guardare laggiù dove il mare tocca il cielo, e sperare di vedere l’isola francese.

Foto di Martina Vezzoni da Lerici

Foto di Martina Vezzoni da Lerici

Il primo della giornata è stato Franco Sandri da Sanremo, che alle 7.46 ha aperto la gara a chi vede più lontano. Nella prima parte della giornata la Corsica si è vista chiaramente da ponente: Stefano Borroni la ha avvistata da Cap Martin, nei primi chilometri di Francia, Salvatore Sciuto ancora da Sanremo. A pomeriggio inoltrato la vista è ancora migliorata grazie al sole che ha cominciato a illuminare l’orizzonte. Alle 15.52 Danilo De Lorenzis di San Lorenzo al Mare ha cominciato a pubblicare una serie di scatti magistrali. «Per poterla rendere abbastanza nitida ho dovuto fare un paio di scatti sottoesposti – spiega agli altri appassionati - e poi li ho fusi insieme e questo è il risultato!». Marco Garberoglio replica con un altro scatto alle 16, sempre da Sanremo.

Foto di Matteo Serle dalle alture di Genova Voltri

Foto di Matteo Serle dalle alture di Genova Voltri

Con l’avvicinarsi del tramonto l’isola comincia a vedersi anche da est, dalla Toscana. Martina Vezzoni di Lerici ha messo una foto su Instagram e Facebook a sole già scomparso. Matteo Serle di Voltri ha scattato dopo le 18 dalla strada della Cannellona, l’antica via che collegava l’estremo ponente genovese con Masone. E un po’ si rammarica.  «Purtroppo oggi non avevo la reflex dietro, è stata una sorpresa».

(Repubblica.it, 17 gennaio 2016)



Iraq, l'altra faccia della guerra

Ci sono i ritratti di giovani spose yazide e la storia di un macellaio bambino. Raffinerie di petrolio e vecchi hotel diventati rifugi di fortuna, una scuola improvvisata sulle montagne al confine con l’Iran. Il protagonista è sempre lo stesso, il Kurdistan iracheno con la sua marea di sfollati. «Di solito i fotografi restano in Iraq una o due settimane. Ma non bastano per entrare nell’intimità delle persone: così abbiamo dedicato un anno della nostra vita a questa tragedia umanitaria». Dario Bosio ha 27 anni ed è cresciuto a Vallecrosia, in provincia di Imperia. Per tutto il 2015 ha realizzato Map of Displacement (www.mapofdisplacement.com), una lunga indagine giornalistica sugli iracheni in fuga dall’Isis: il progetto è stato presentato a New York a metà ottobre, poi è toccato a Praga.

Dopo gli studi a Firenze e in Danimarca,  uno stage a Telenord e un tirocinio in Olanda, Dario ha lavorato a Roma come assistente del fotoreporter italiano Franceco Zizola.  A febbraio di quest’anno è volato nel Kurdistan iracheno per raggiungere il fotografo torinese Stefano Carini, su compagno di lavoro nell’agenzia Noor. «Stefano era da qualche mese a Sulaymaniyah», racconta Dario. «Lavorava nell’unica agenzia fotografica dell’Iraq, Metrography, con una missione: trasformarla in un’agenzia internazionale».

Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno

I due hanno così creato una squadra con i migliori fotografi del Paese, Stefano come editor in chief, Dario come photo editor e project manager. Con loro hanno battuto il Kurdistan alla ricerca di storie. «Spesso la guerra viene affrontata con immagini dal fronte di battaglia», continua Dario. «Noi volevamo invece raccontare gli iracheni displaced. Quelli evacuati, trasferiti, sfollati. Che non sono profughi, perché non hanno cambiato Paese. Ma hanno dovuto abbandonare le loro case e ricostruirsi la vita». E’ un destino che tocca a molti, in Iraq. La guerra contro l’Isis ha sfollato più di un decimo della popolazione e un milione e mezzo di iracheni si è trasferito nella regione autonoma curda. E La forza di Map of Displacement è proprio questa: i fotografi di Metrography sono tutti iracheni e conoscono bene l’argomento, perché  alcuni sono stati sfollati per la guerra con l’Iran e le persecuzioni di Saddam.

Durante il 2015 l’agenzia ha collaborato con le più importanti testate del mondo- dal New York Times al Der Spiegel -  e le dodici storie di Map of Displacement sono state abbinate a opere di giornalisti internazionali.  Il 13 ottobre è arrivata la presentazione negli Usa, a fine mese il progetto è finito su Lens del New York Times.  Nel frattempo Dario Bosio si è iscritto ad Antropologia, a Berlino. «Ci sono tante ragioni per non voler vivere in Iraq», spiega. «Ma continuerò a seguire Metrography, perché il legame con la regione rimarrà. I curdi hanno una cultura millenaria martoriata, che devono raccontare al mondo: nessuno può farlo meglio di loro».

(La Repubblica, 13 novembre 2015)

A galla nel mar Morto, il punto più basso della Terra

E’ proprio vero, qui la gente galleggia. Letteralmente: si butta in acqua e non affonda, nemmeno volendo. Ma neppure nuota, perché mica ci si riesce. Galleggia e basta. Magie del Mar Morto, dove la concentrazione di sale è così elevata che i corpi stanno a pelo d’acqua senza sforzo.

Io che galleggio

Io che galleggio

Selena che galleggia

Selena che galleggia

Siamo in Giordania, al confine con Israele. Il Mar Morto è uno specchio d’acqua blu scuro, quando si alza il vento siincrespa di onde spumeggianti. Nella zona i trasporti pubblici sono carenti e il modo migliore per visitare questa zona è affittare un’auto. E’ importante avere sempre con sé il passaporto perché i Territori palestinesi della Cisgiordania sono a un passo e i check point militari numerosi. Il sole è cocente e il paesaggio da frontiera, polveroso, povero. Molta gente si sposta con i dromedari e davanti ai negozi può capitare di vederli “parcheggiati”, legati con la corda a un palo della luce.  

Dal Monte Nebo: direzione Dead Sea

Dal Monte Nebo: direzione Dead Sea

Nei millenni la forte evaporazione ha fatto diminuire il livello delle acque in modo costante (anche perché qui non piove praticamente mai) e man mano che l'acqua è evaporata i sali si sono accumulati: in questo modo il Mar Morto è diventato molto più salato degli oceani e questa alta salinità ha impedito agli organismi più grandi, come pesci e rane, di sopravvivere.  Il livello dell’acqua è così sceso “sotto” il livello del mare. Ed è per questo motivo che il Mar Morto si trova nella depressione più profonda della Terra.

Il Mar Morto

Il Mar Morto

Nel Mar Morto c'è tanto tanto sale

Nel Mar Morto c'è tanto tanto sale

E il suo livello continua a diminuire sempre più rapidamente, tanto che si pensa che prima o poi, nel medio lungo periodo, scomparirà. Nel passato il fiume Giordano gli portava le sue acque dolci, ma il suo sfruttamento per raccogliere acqua potabile e irrigare i campi lo ha ridotto a poco più di un rigagnolo. Le industrie che produce carbonato di potassio nella parte meridionale del Mare – ormai una pianura arida – di certo non aiutano. Proprio nell’estremità a sud, presso la grotta di Lot, si raggiunge il punto più basso della Terra, a meno 408 metri sotto il livello del mare.  Secondo la Bibbia è qui che Lot, nipote di Abramo, si rifugiò dalla distruzione di Sodoma e Gomorra.

Vicini alla Cava di Lot, il punto più basso della Terra:  -408 metri sotto il livello del mare

Vicini alla Cava di Lot, il punto più basso della Terra:  -408 metri sotto il livello del mare

(L'Huffington Post, 21 ottobre 2015)