Alpi apuane, tra marmo e lardo

Impossibile non vedere quelle montagne, così bianche da far luce e sembrar coperte di neve anche ad agosto. ll tesoro che custodiscono è noto da più di duemila anni: se ne accorsero i Romani e prima di loro gli Etruschi, ma sono gli ultimi due secoli ad aver lasciato il segno tanto che ormai basta dire “marmo” per pensare a Carrara. Eppure non sono tanti i turisti che si avventurano in queste montagne impervie a due passi dal mare.

Dal casello autostradale servono venti minuti per raggiungere le Alpi Apuane e i bacini marmiferi di Torano, Fantiscritti e Colonnata. Torano è il più lunare e ha fornito i marmi che hanno dato forma ai sogni di scultori e artisti, ma il prediletto da Michelangelo Buonarroti pare fosse il bacino di Fantiscritti. La montagna sventrata appare all’improvviso dopo i Ponti di Vara, simbolo delle cave da quando a fine Ottocento la “Ferrovia marmifera” pose fine a quel lavoro estenuante che andava avanti dall’età imperiale: la “lizzatura” del marmo, ovvero il trasporto sino a valle dei blocchi con la forza degli operai e dei carri tranati dai buoi.

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I Ponti di Vara

I Ponti di Vara

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La “Galleria di Ravaccione n.84” a Fantiscritti è la cava più sensazionale, un’immensa cattedrale scavata nel cuore del monte. La cava nacque nel 1963 quando l’imprenditore Carlo dell’Amico ottenne il permesso di estrarre il marmo dall’interno del tunnel della “ferrovia marmifera”, troppo costosa da rimettere in piedi dopo i danni della seconda guerra mondiale. «All’epoca gli diedero del pazzo, era il primo a pensare di scavare la montagna dall’interno», ricorda la nipote Francesca, che dal 2003 gestisce le visite dei turisti all’interno della galleria. «Ma aveva ragione mio nonno». Da cinquant’anni l’estrazione procede senza sosta e i circa 40 mila metri cubi di marmo estratti sinora hanno lasciato nella pancia del monte uno spettacolo industriale mozzafiato, con giganteschi stanzoni dalle pareti squadrate lunghe decine di metri. 

Galleria Ravaccione

Galleria Ravaccione

Galleria Ravaccione

Galleria Ravaccione

Galleria Ravaccione

Galleria Ravaccione

Dopo seicento metri che attraversano la prima metà della galleria, arriva la sorpresa: dall’interno della cava il marmo appare grigio. «Succede per lo sporco e le luci giallognole che lo illuminano, ma soprattutto perché è bagnato», spiegano le guide durante le visite. «Dopo tre o quattro giorni passati all’aria aperta il marmo torna a essere bianco. Ed è proprio questa la sua caratteristica: bianco con poche venature grigie, grazie alla presenza di carbonato di calcio puro al 99,9 per cento». I soffitti alti diversi metri possono incutere un po’ di timore al pensiero che su di loro poggiano chissà quante tonnellate di marmo, ma niente paura: geologi e ingegneri controllano di continuo la tenuta della cava, assicurandosi che i lavori procedano rispettando la stabilità della montagna. 

Galleria Ravaccione

Galleria Ravaccione

Tra Fantiscritti e Colonnata

Tra Fantiscritti e Colonnata

Dal poggio di Fantiscritti si arriva quindi al bacino di Colonnata, attraverso una galleria scavata nella roccia percorribile con la propria automobile. Nella Cava 177, anche questa attiva, si possono osservare i macchinari usati per l'escavazione del marmo e anche antiche lavorazioni rimaste dall’epoca romana. Di certo non è più il lavoro di una volta, visto il che ora il taglio orizzontale è fatto con la “sega a catena”, una enorme sega elettrica, e quello verticale con cui si creano i blocchi avviene con il filo diamantato. «Si muove a una velocità di quattro metri al secondo e taglia il marmo di circa 5 centimetri ogni minuto», racconta la guida Marco Bernacca della Cava 177, che con veicoli 4x4 organizza visite in tutte le cave del comprensorio. «Prima si usava il filo elicoidale, tre fili di acciaio con la sabbia silicia ricca di quarzo del Lago di Massaciuccoli. Ma era un sistema sette volte più lento. Sino agli anni Cinquanta si è invece usato il sistema dei cunei di ferro: si facevano delle trincee scavate a mano con i picconi, per poi inserire un cuneo e batterlo in modo da “strappare” il marmo dalla montagna». 

Cava 177

Cava 177

Il bacino di Colonnata è il più orientale dei tre e ospita un paesino incastonato tra le cave che ormai tutti associano al lardo, nonostante una storia millenaria dedicata al marmo. E’ qui che nel 40 a.C i Romani crearono i primi alloggi degli schiavi per lo sfruttamento intensivo delle cave di Carrara, molto più vicine a Roma di quelle greche. Nel corso dei secoli gli schiavi si fusero con la popolazione indigena dando origine a una forte comunità montana che ha alternato il lavoro nelle cave con l’agricoltura, l’allevamento dei maiali e lavorazione delle carni.

Colonnata

Colonnata

Colonnata

Colonnata

In salumeria a Colonnata

In salumeria a Colonnata

Le prime informazioni sulla produzione del lardo risalgono intorno all’anno mille, ma pare sia nel 1500 che a causa di una forte crisi marmifera e l’aumento delle attività di allevamento venne imparata la stagionatura del lardo. Da allora è diventato un salume base della dieta del posto, perché adatto al sostentamento delle fasce più povere e utilizzabile in ogni momento dell’anno. Tagliato a fettine sottili insieme al pane e al pomodoro è stato per molti secoli il nutrimento principale dei cavatori. «Addirittura in inverno lo scioglievano e lo bevevano quando faceva freddo», raccontano gli anziani del paese.

Un produttore di lardo

Un produttore di lardo

Il lardo nelle conche

Il lardo nelle conche

Il paese può servire come punto di partenza per camminate da cui raggiungere spettacolari vedute dei bacini marmiferi, dalla Case del Vergheto sino alla cima del monte Brugiana, affascinante monte massese dove è possibile fare anche trekking a cavallo e dormire in un agriturismo immerso nel bosco. Dal dopoguerra la storica attività di Colonnata si è ridimensionata e l’allevamento dei maiali nel paese è scomparso, tanto che ora le bestie vengono importate dalla Lombardia. Ma da quando nel 2004 il lardo di Colonnata ha ottenuto il marchio IGP dall’Unione Europea, la sua produzione è in notevole aumento.

Antonio Musetti nella sua larderia

Antonio Musetti nella sua larderia

L’artigiano Antonio Musetti insieme alla moglie Monica Guadagni prosegue una tradizione familiare che dura da generazioni. Davanti a una serie di vasche in marmo mostra la sua produzione del salume. «Il lardo si fa da settembre a maggio e deve restare nelle conche almeno sei o sette mesi», spiega. «Serve un quintale di sale per vasca, più le spezie tritate che profumano la carne e lasciano loro l’aroma». Quali spezie? Sorride. «Lo stabilisce il disciplinare: ci sono aglio, pepe, rosmarino. Ma nel bilanciarle, ognuno ha il suo segreto». 

(Repubblica.it, 24 novembre 2016)

La "geografia dei grandi spazi", in viaggio con i reporter

Fotografi e giornalisti Neos - associazione formata da alcuni dei più noti fotoreporter e giornalisti di viaggio italiani - danno inizio a un ciclo di serate dedicate alla grande geografia e al reportage di viaggio. L’appuntamento è giovedì 24 novembre a Milano, alle 18, da Frida all’Isola in via Antonio Pollaiuolo 3 (metro Garibaldi).

Antartide, foto di Marco Santini

Antartide, foto di Marco Santini

Un modo per esplorare il mondo dietro le quinte di una professione affascinante e ricca di incontri, fatta anche di fatica e di imprevisti. Luoghi lontani e vicini attraversati con lo sguardo insolito del giornalista, dove ciascuno metterà in campo la sua sensibilità per narrare, con immagini e racconti, le esperienze vissute, i pericoli affrontati, le incertezze, ma anche l'emozione di una scoperta improvvisa. Offrendo l'opportunità ai più giovani, che vogliono avvicinarsi a questa attività, di incontrare professionisti di fama internazionale. Un modo vivace e informale di conoscersi, di esplorare il mondo, di scoprire mete e modi alternativi di viaggiare.

Perù, foto di Mario Verin

Perù, foto di Mario Verin

Videoproiezioni. Stefano De Franceschi (TV Capodistria): un foto safari nel parco del Malamala, la riserva privata più estesa del Sud Africa, e nella Mashatu Game Reserve (Botswana) con Sergio Pitamitz, fotografo di National Geographic Creative. Durante la serata Pitamitz presenterà il volume fotografico appena pubblicato Wild Africa (edizioni Zerotre, novembre 2016); Marco Santini (Dove): interpreta con la sua macchina fotografica le regioni polari, di cui è un grande esperto. 

Bolivia, foto di Mario Verin

Bolivia, foto di Mario Verin

Pierluigi Orler, con "Silenzi da guardare", si dedica alla natura delle "sue" Dolomiti con immagini bianco e nero di grande effetto. Daniele Pellegrini (fotografo degli anni gloriosi della rivista Airone) racconta il suo primo giro del mondo in camion, fatto quarant'anni fa, che gli valse il Guinness dei Primati; Massimiliano Salvo (La Repubblica-L'Espresso), racconterà il suo viaggio in Cambogia alla ricerca degli "ultimi domatori di elefanti"; Mario Verin: esperto di fotografia di montagna e alpinista di alto profilo, mostrerà un Perù insolito da zero a 6000 metri di quota.

Cambogia, Massimiliano Salvo

Cambogia, Massimiliano Salvo

Durante la serata verrà presentato Il Giornale del Viaggiatore, semestrale a cura de il Tucano Viaggi e Ricerca di Willy Fassio dedicato alla geografia, all'etnologia, alla natura, ai popoli e alle culture del mondo, con interventi di giornalisti, scrittori viaggiatori e grandi fotografi (tucanoviaggi.com).

Al termine dell'incontro, giornalisti e fotografi Neos saranno a disposizione del pubblico per visionare portfolio e offrire consigli a coloro che desiderano avventurarsi in questa professione.

 

Forte Geremia, il rifugio sabaudo sull'Alta Via

E’ difficile da scorgere perché si mimetizza bene, nascosto com’è tra i monti e coperto dai prati. Quando alla fine dell’Ottocento i Savoia lo costruirono sulla strada del Faiallo – all’estremo ponente di Genova -  volevano una fortezza difensiva tra la Val Cerusa, la Val Leira e la Valle Stura.  Invece costruirono una terrazza vista mare. Dopo quasi un secolo di abbandono e un tentativo fallito di recupero, Forte Geremia ha riaperto al pubblico.

Forte Geremia (foto di Lorenzo Zeppa)

Forte Geremia (foto di Lorenzo Zeppa)

Partiamo dalla posizione. Forte Geremia è dentro il Parco del Beigua e si raggiunge con una strada sterrata a lato della provinciale 73, la strada del Faiallo, quattro chilometri dopo la galleria del Turchino (la mappa è sul sito www.fortegeremia.it).

I protagonisti dell’associazione che ha rilevato la gestione del forte sono due giovani con il pallino della storia e delle avventure impossibili. Lorenzo Zeppa ha 29 anni e un’agenzia di comunicazione che lavora tra l’Italia e l’Inghilterra. Un anno fa ha iniziato a studiare un progetto per rilanciarlainsieme all’amico Stefano Podestà, 35 anni, archeo-speleologo.

«Forte Geremia è un’oasi di pace in mezzo alla natura incontaminata a quasi mille metri d’altezza, a due passi da Genova e dal Piemonte», raccontano Lorenzo e Stefano. «Nei giorni di tramontana c’è una vista da paura: da un lato c’è il massiccio del  Monte Rosa, dall’altro il promontorio di Portofino. Con un po’ di fortuna spunta pure la Corsica». Le condizioni del forte sono buone perché è stato restaurato negli anni Novanta grazie a fondi europei e sino allo scorso anno è stato un rifugio sull’Alta Via dei Monti Liguri, la rete di sentieri che attraversa tutta la Regione da Ventimiglia a Spezia. Con le difficoltà finanziarie dei vecchi gestori è arrivata l’ennesima chiusura, ma il progetto di Lorenzo e Stefano ha convinto il Comune di Masone a tentare di nuovo.

La vista dal Faiallo

La vista dal Faiallo

Ora che è arrivato un po’ più di freddo è il momento delle polentate. Il prossimo appuntamento è sabato 22 e domenica 23 ottobre. Durante la giornata sarà possibile sorvolare la Valle Stura con un elicottero, passando sopra Rossiglione, Campo Ligure e Masone. Il ricavato sarà destinato al recupero del Forte.

Gli investimenti successivi saranno infatti l’allacciamento alla linea elettrica e un impianto di riscaldamento. Le idee per l’anno prossimo sono già chiare: ricettività per i camminatori dell’Alta Via e ristorazione, senza però dimenticare la parte culturale. «Forte Geremia fa parte della storia di queste valli e deve avere un ruolo da protagonista: deve diventare un punto di riferimento turistico dove consumare i prodotti dei dintorni». 

Villa Pallavicini, il gioiello di Pegli torna a splendere

Era il 23 settembre del 1846 quando aprì al pubblico Villa Durazzo Pallavicini di Pegli, nel ponente di Genova, diventando uno dei parchi monumentali più significativi nell’Europa dei giardini storici. Venerdì 23 settembre, 170 anni dopo la prima inaugurazione, il parco è tornato a essere visitabile grazie ai lavori di restauro più importanti di sempre.

Villa Pallavicini

Villa Pallavicini

Il Parco fu realizzato per volere del marchese Ignazio Pallavicini, che negli anni Quaranta dell’Ottocento incaricò l’architetto Michele Canzio, scenografo del Teatro Carlo Felice, di occuparsi del bosco alle spalle della sua villa. Otto ettari di collina furono modellati come un’opera teatrale dalle sfumature esoteriche e massoniche per rendere la visita un’esperienza unica per il suo carattere interdisciplinare: storico-culturale, paesaggistico-botanico, meditativo-filosofico. Il percorso è lungo quasi tre chilometri e si articola in tre atti, le cui scene sono composte da laghi, torrentelli, cascate, piante rare e architetture da giardino in stile neoclassico, neogotico, rustico, cineseggiante ed esotico.

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Dopo cinque anni di lavori costati oltre 4milioni di euro - finanziati in gran parte con fondi residui delle Colombiane del 1992, per i 500 anni dalla scoperta dell’America -  hanno fatto rinascere il Parco grazie alla ricomposizione delle scenografie vegetali, alla ricostruzione di percorsi, muri e opere di ingegneria naturalistica.  Attesissimo il restauro del Castello del Capitano, il maniero sulla sommità della collina da cui si gode di una vista mozzafiato che da Capo Noli spazia sino al promontorio di Portofino.

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«Da quando il parco fu donato al Comune di Genova, nel 1928, questa parte di villa non è mai stata aperta al pubblico», spiega l’architetto Silvana Ghigino, da trent’anni in prima linea insieme al collega Fabio Calvi per riportare Villa Pallavicini all’antico splendore. «Finalmente il Parco è tornato all’antico splendore. Genova e i turisti devono conoscerlo, perché non esiste nulla di simile».

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Belli e abbandonati i borghi della Liguria

Bussana Vecchia diventò un borgo fantasma dopo il terremoto del 1887, il quarto in nemmeno cinquant’anni. Balestrino, paesino del savonese abitato dal Paleolitico, subì lo stesso destino negli anni Cinquanta per colpa delle frane. Quando non sono state le calamità naturali ci ha pensato il desiderio di benessere a spopolare i villaggi dei monti liguri: alcuni sono già stati inghiottiti dai boschi, altri resistono con una manciata di abitanti. “I borghi antichi abbandonati” è un Progetto di ricerca di Ateneo finanziato dall’Università di Genova che terminerà a ottobre: tra i risultati c’è stata la pubblicazione del volume “I borghi antichi abbandonati  – Patrimonio da riscoprire e mettere in sicurezza” (ed. Franco Angeli).

Bussana Vecchia, foto di Wikipedia

Bussana Vecchia, foto di Wikipedia

«Lo spopolamento riguarda tutta l’Europa e in particolare l’Italia, dove si stimano cinquemila borghi fantasma», spiega l’autrice Francesca Pirlone, ricercatrice del Dicca (Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale) e docente di Pianificazione urbanistica e territoriale. «La Liguria è una delle regioni italiane più colpite dal fenomeno. Alle cause storiche e naturali si aggiungono quelle di tipo logistico, sociale, economico e culturale». Il team di pianificazione territoriale del Dicca, composto da Francesca Pirlone, Ilenia Spadaro e Selena Candia – supportato da altri ricercatori di scienze ambientali -  ha studiato i tanti casi della Liguria.

Nel savonese, a Calice Ligure, il borgo di Cravarezza fu abbandonato dopo la chiusura della vicina miniera di grafite; nello spezzino lo spopolamento è avvenuto soprattutto in Val di Vara, con gli abitanti attirati dall’industrializzazione degli anni Settanta. «Nel territorio genovese ha interessato in particolare la Val Fontanabuona, dove è andato in crisi il settore dell’ardesia,  la Valle Sturla, la Val Graveglia, la Val Pentemina», spiega Francesca Pirlone. «Molti borghi erano stati costruiti lungo le antiche vie del sale, ora tagliate fuori dal sistema viario. Inoltre nel Medioevo più un borgo era difficilmente raggiungibile più era sicuro».

Canate di Marsiglia

Canate di Marsiglia

Dal dopoguerra è emersa la differenza con la qualità di vita offerta dalle città, ricche di servizi e trasporti e vicine ai luoghi di lavoro e di studio. I paesi che per primi sono stati collegati alla nuova rete stradale sono sopravvissuti anche grazie all’arrivo di immigrati attirati dal minor costo degli affitti: in provincia di Genova ne sono un esempio Mezzanego, Borzonasca e Favale di Malvaro. Canate di Marsiglia nel comune di Davagna è il caso opposto. A fine Ottocento i 250 abitanti si convertirono ai lavori portuali ma negli anni del Boom il paese fu abbandonato perché la prima strada carrabile distava (e dista tuttora) un’ora di cammino nel bosco.

Pentema, foto di Davide Papalini (da Wikipedia). Licenza CC BY-SA 3.0

Pentema, foto di Davide Papalini (da Wikipedia). Licenza CC BY-SA 3.0

Nelle valli dell’Antola la vocazione agricola si è persa quasi ovunque e i borghi deserti si contano a decine. La Val Pentemina, tra Montoggio e Torriglia, sconta strade sterrate, numerose frane e in alcuni casi l’assenza di illuminazione pubblica. Nella Valbrevenna l’80% dei 750 abitanti vive nella bassa valle e ci sono una dozzina di località con meno di dieci residenti; la Val Vobbia ha meno di 500 abitanti e soffre le carenze di viabilità e collegamenti pubblici. «Alcuni borghi tornano a vivere di estate perché le abitazioni contadine diventano seconde case», spiega Francesca Pirlone. «Altri paesi riescono a sopravvivere grazie a particolare iniziative turistiche». E’ il caso di Pentema, popolato da una decina di anziani ma con un presepe che attira turisti da tutta la regione. Nell’imperiese è celebre il caso di Bussana Vecchia, diventato centro di richiamo per gli artisti.  

Partendo da casi virtuosi a livello internazionale – come gli ecovillaggi nei Pirenei spagnoli e il piano per il ripopolamento rurale in Irlanda – la ricerca di Francesca Pirlone propone diverse soluzioni. Innanzitutto la creazione di un Atlante dei borghi abbandonati o in via di abbandono, per mappare un fenomeno di cui si hanno solo stime, analizzarne i motivi per elaborare dei piani di recupero. «In alcuni casi si tratta di ricucire le vie di mobilità e di traporto, in altri di mettere in sicurezza il territorio. A quel punto si può studiare la funzione da dare ai villaggi abbandonati». Tra le esperienze vincenti c’è il turismo degli alberghi “diffusi” o la trasformazione del borgo in fattoria sociale, con un’agricoltura che coinvolge persone a rischio di esclusione come portatori di handicap, ex detenuti o anziani. Tra le strategie possibili ci sono l’utilizzo dei borghi come set cinematografici e gallerie d’arte all’aperto. In Italia si è già assistito alla vendita dei paesi fantasma a cifre simboliche per favorire l’intervento dei privati.  «Per un recupero concreto è però necessario un rapporto efficace tra pubblico e privato», precisa Francesca Pirlone. «Le sinergie sperimentate in alcuni centri storici italiani si sono rivelate vincenti». 

 

Aruba, la fattoria delle farfalle

Volano libere in un giardino tropicale con fiori, laghetti e alberi di banano. The Butterfly Farm è ad Aruba, un’isoletta caraibica vicina al Venezuela ma parte del Regno dei Paesi Bassi. Questa “fattoria delle farfalle” circondata da reti ospita 35 specie provenienti da tutto il mondo, con esemplari di Aruba, Costa Rica, Brasile, Indonesia, Filippine e Australia. The Butterfly Farm si trova nella capitale Oranjestad e ha un gemello nell’isola di St. Maarten. È  l’ideale per assistere al ciclo di vita degli insetti: da bozzolo a crisalide, e infine a farfalla. Aruba ha un clima tropicale, caldo ma dalle scarse precipitazioni. A differenza di gran parte dei Caraibi, colpiti dagli uragani, è visitabile tutto l’anno. Ecco alcuni degli esemplari che potreste incontrare visitandola.

(D.Repubblica.it, 12 agosto 2016)

Hello, World!

Sossop, non solo un carro e un cavallo. One Love sbarca a Genova

Carissimi tutti,

scusate se non mi sono più fatto sentire per la storia del carro e del cavallo,  ma la raccolta dei soldi è andata per le lunghe e ho aspettato la visita a Genova del cooperante di One Love Onlus, Giacomo Simonini, che è tornato in Italia per le vacanze estive.

Io e Selena non sappiamo come ringraziarvi.
La partecipazione è andata oltre ogni più rosea aspettativa!!
Dovevamo raccogliere 650 euro e invece in questo momento ne abbiamo davanti 2.020.

Sossop

Sossop

Ricapitolando: io e Selena a gennaio siamo andati in Senegal.
Nel villaggio di Sossop siamo stati ospiti dell'associazione di Pistoia di One Love Onlus, fondata e diretta da Giacomo. Come abbiamo deciso con lui, da settembre io e Selena diventeremo la sezione genovese di One Love. Servirà per seguire i progetti che faremo con i soldi raccolti. E cercare di migliorarci.

Sossop è qua.

Sossop è qua.

Questo è il video che abbiamo proiettato la sera della cena, che spiega perché cercavamo dei soldi per il villaggio di Sossop.

I soldi che ora abbiamo sono molti di più, principalmente per un motivo: una persona ha contribuito con 650 euro. I duemila (e venti) euro totali euro sono tanti quindi. Non tantissimi perché  l'Africa è cara, come l'Italia se non di più. E' anche per questo che è così difficile viverci.

Visto che 650 euro era la cifra per comprare un cavallo normale (500 euro) + un carretto (100-150 euro), investiremo qualcosa di più nel cavallo (i loro prezzi vanno dai 400 ai mille).  Per prenderne uno giovane e forte, ce ne vorranno facciamo 650-700. Aggiungendo il carro si arriva circa a 800 euro. Anche qui: l'idea era prendere il carro più economico di tutti, ma visto che dovrà trasportare tanti bambini si potrebbe pensare a prendere uno un po' migliore, non dico coi sedili ma con la tettoia sì, così da proteggere i bimbi dal sole.

Il cavallo sarà preso a settembre-ottobre, quando riaprono le scuole. Non ora perché Giacomo non è in Senegal e perché così risparmiamo due-tre mesi di vitto. L'associazione-madre con cui lavora One Love, Energia per i diritti Umani Onlus, ha già dato l'ok.

Per quanto riguarda il mantenimento, tra il fieno (siamo nella savana, non c'è l'erba ma cespugli secchi) e un contributo al volontario pare si arriverà a 80-100 euro al mese.  E' più di quanto vi avevo detto, ma non preoccupatevi. Come primo atto di One Love a Genova stringerò dei rapporti con delle scuole di Genova per far adottare questo progetto. Con pochi euro per bambino ciascuna classe potrà adottare il cavallo per un mese.

Giacomo Simonini

Giacomo Simonini

Cosa faremo con il resto dei soldi?
Abbiamo parlato a lungo con Giacomo e visto che lui conosce la situazione meglio di tutti sa qual è il problema più urgente. Alle due aule della scuola servono i pavimenti, che come vedete nella foto qui sotto sono di sabbia e creano problemi di fango e sporcizia. Farli costerebbe costerebbe almeno 600 euro.

Teniamoci larghi: calcoliamo, tra cavallo, carro e pavimenti, di spendere 1700 euro. 
Ne avanzano ancora e vogliamo spenderli in qualcosa che resti. ll bonifico che ho appena fatto è per realizzare questi due progetti: i cento, forse duecento euro che potrebbero avanzare li lasciamo a One Love per qualsiasi emergenza... dalla morte di una capra a qualsiasi necessità sanitaria urgente.

Passiamo ora ai soldi che sono avanzati.
Mi sono tenuto 320 euro da parte. Serviranno (non tutti, circa la metà) a mio fratello Daniele, Selena e suo cugino Jacopo (che ha avuto l'idea) per costruire dei kit di agricoltura aeroponica
La cifra che avanzerà sarà consegnata comunque a One Love Onlus con un nuovo bonifico, visto che tanto devo ancora ricevere qualche donazione.

Tra i modi di spendere questi soldi avanzati ci poteva essere la realizzazione di un sostegno a distanza nel villaggio (scuola+salute costa 20 euro all'anno). Ma in realtà non è una buona idea perché tra un anno i soldi finiranno. Se uno smette di pagare Save the Children, c'è sempre qualcuno di nuovo che subentra.

Con associazioni così piccole il rischio è che il bambino smetta di andare a scuola.
Colgo l'occasione per dirvi che chiunque voglia fare una mossa del genere - sostenere un bambino di Sossop a distanza - non deve fare altro che chiedere via mail a me (massimilianosalvo@gmail.com), a Selena (selenacandia@hotmail.it) o a Giacomo (giacomo.simonini77@gmail.com), che è poi è quello che fa tutto.


Concludo con questo video, che dimostra quanto bene si può fare con la cooperazione.
La Ong Liter of Light Italia - che porta la luce nei villaggi senza elettricità, e di cui ho scritto appena tornati dal Senegal - è appena stata anche a Sossop.

Buona visione, e grazie ancora a tutti.

Corsica-Sardegna-Elba. In nave, in un viaggio solo

Corsica e Sardegna insieme, in una vacanza sola. Magari partendo dalla Toscana, con qualche giorno all’isola d’Elbae perché no, un bagno finale in costa Azzurra. Nel mondo del turismo lo chiamano Island hopping, il “saltellare da un’isola all’altra”: era nato come metodo di conquista militare negli oceani e ora ha la sua più celebre applicazione nelle vacanze in Grecia, dove basta raggiungere l’Egeo e poi ci si sposta tra le isole, via traghetto. Da quest’estate è più facile saltellare anche nell’alto Tirreno, grazie alla Corsica Sardinia Ferries che inaugura le sue prime rotte dal sud della Francia per la Sardegna. Quattro le partenze serali ogni settimana da Nizza per il porto di Golfo Aranci, vicino a Olbia, il tutto con tappa intermedia a Porto Vecchio, nell'isola di Bonaparte: un portone aperto per il mercato francese, ma anche un’occasione di concorrenza alle navi in partenza dai porti di Genova e di Vado Ligure.

Ne è passato di tempo da quando la compagnia con le nave tinte di giallo fu fondata dall’armatore corso Pascal Lota, che in una Francia paralizzata dagli scioperi del 1968 fondò la Corsica Ferries e realizzò il suo sogno: collegare la Corsica all’Italia, in barba alla concorrenza a suo dire sleale delle linee a sovvenzione statale. Nel 1981 si sono poi aggiunti i tragitti con la Sardegna e nel 1996 sono partite le linee Nizza-Bastia e Civitavecchia-Golfo Aranci. Nel Tirreno c’era bisogno di più navi passeggeri e i numeri parlano chiaro: nel 2015 la Corsica Sardinia Ferries ha toccato il suo record storico con 3 milioni e seicentomila persone trasportate, più del doppio di quindici anni prima.

Con le nuove tratte il continente si ritrova più vicino alle isole, ma da quest’estate anche i viaggi tra Sardegna e Corsica diventano più semplici. Alle navi della Moby che collegano Bonifacio con Santa Teresa di Gallura si vanno infatti ad aggiungere – per la prima volta – i collegamenti di Corsica Sardinia Ferries tra le due isole e allo stesso tempo con la terraferma, seppure per ora solo dalla Francia. Perché le quattro navi a settimana che da Nizza raggiungono Golfo Aranci fanno stop prima nel sud della Corsica, a Porto Vecchio; e sempre Porto Vecchio sarà il punto di arrivo e di partenza della nuova tratta notturna Tolone-Porto Torres, attesa per metà giugno due volte a settimana.

Sardegna, tra Alghero e Bosa

Sardegna, tra Alghero e Bosa

Immaginando un itinerario in partenza da Piombino, l'isola d'Elba si raggiunge con una nave ogni mezz’ora: la prima è alle 5.30, l’ultima alle 22.30. La linea della Corsica Sardinia Ferriescollega l’isola d’Elba alla Corsica dal 15 giugno al 22 settembre due volte a settimana, il mercoledì e il giovedì con partenza alle 20 da Porto Ferraio e arrivo a Bastia alle 21.30 (il percorso inverso il giovedì e il venerdì con partenza alle 7) . Dalla Corsica alla Sardegna si viaggia con Moby da Bonifacio a Santa Teresa di Gallura alle 8.30, alle 12, alle 17 e alle 20. Con Corsica Sardinia Ferries si parte sino a quattro volte a settimana nella prima parte di mattina da Porto Vecchio (il suo orario oscilla in base ai giorni) con arrivo a Golfo Aranci tre ore dopo.  Appena partirà il notturno Porto Vecchio-Porto Torres-Tolone, Corsica e Sardegna saranno collegate con altri due viaggi serali a settimana: si parte dalla Corsica alle 18, scalo in Sardegna alle 21.15, nuova partenza alle 22 e arrivo in Costa Azzurra la mattina dopo.

Corsica, Capo Rosso

Corsica, Capo Rosso

Considerando tutte le grandi compagnie che servono le isole dell’alto Tirreno- Tirrenia, Grimaldi Lines, Grandi Navi Veloci, Moby e Corsica Sardinia Ferries – le possibilità di raggiungere Corsica e Sardegna sono numerose, con partenze e arrivi nei porti di Genova, Vado ligure, Livorno, Civitavecchia, Napoli,  Palermo, Ajaccio, Olbia, Arbatax e Cagliari. Ma a servire sia l’Elba che la Corsica e la Sardegna con scali in più isole nella stesa tratta c’è solamente la Corsica Sardinia Ferries, che infattista pensando a tariffe agevolate per chi sceglie di saltellare da un’isola all’altra. «L’island hopping è una prospettiva interessante», fa sapere la compagnia italo-francese. «Stiamo studiando un modo per renderlo ancora più facile».

(Repubblica.it, 3 giugno 2016)