NAGORNO KARABAKH, LA POLVERIERA DEL CAUCASO

 

C’è sempre più tensione nella regione armena dell'Azerbaijan, autoproclamata indipendente nel 1992 e mai riconosciuta da nessuno Stato. Nel 2014 ci sono stati più di 70 morti e un elicottero abbattuto: è il bilancio più grave dal cessate il fuoco del 1994. Intanto la spesa militare dell’Azerbaijan cresce in modo vertiginoso. E i tweet del suo presidente Ilham Aliyev sono sempre più aggressivi

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Le bandiere sventolano accanto, entrambe a strisce orizzontali rosso-blu-arancione. Non ci sono militari a segnare il confine, solo una manciata di poliziotti dallo sguardo bonario in un ufficio senza computer. Appeso al muro un gagliardetto con i colori nazionali, identici a quelli armeni ma con un segno bianco che ricorda la trama dei tappeti. Un registro scritto a mano elenca l’ingresso degli stranieri, cui viene dato un foglietto: c’è l’indirizzo del Ministero degli esteri, dove si prenderà il visto. Un sorriso, una stretta di mano vigorosa. “Welcome to Nagorno Karabakh”. Benvenuti nel Nagorno Karabakh, il paese che non esiste.

Il Nagorno Karabakh è una regione piccola come l’Abruzzo incastrata tra le montagne del Caucaso meridionale, in bilico tra la guerra e la pace da più di vent’anni. Un territorio a maggioranza armena che ha dichiarato la secessione dall’Azerbaijan nel 1991, ma che per il mondo appartiene ancora a Baku.

Nel 1994 l’Armenia, l’Azerbaijan e la Repubblica del Nagorno Karabakh (NKR) hanno sospeso le ostilità dopo sei anni di combattimenti. Ma dallo scorso autunno i rapporti tra Armenia e Azerbaijan sono al massimo della tensione: il 12 novembre l’Azerbaijan ha annunciato di aver abbattuto un elicottero armeno che sorvolava un’area di confine. Da quel momento le violazioni del cessate il fuoco sono diventate quasi quotidiane, con morti da entrambe le parti.

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L’ingresso nella Repubblica del Nagorno Karabakh (NKR) 

IL NAGORNO KARABAKH, LA POLVERIERA DEL CAUCASO

Il Nagorno Karabakh è un territorio di confine che ha un nome addirittura in tre lingue. “Nagorno” significa “montagnoso” in russo; “Karabakh” ha origine turche e persiane e vuole dire “giardino nero”. Gli armeni lo chiamano spesso con il nome storico Artsakh. Conquistato dai bolscevichi, nel 1923 entrò a far parte della Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan come oblast autonomo. All’epoca gli armeni costituivano oltre il 90% della popolazione.

Quando nel 1988 il Nagorno chiese la secessione dall’Azerbaijan per unirsi all’Armenia (gli armeni erano il 77%) cominciò un periodo di violenza esploso in guerra nel gennaio del 1992, subito dopo il referendum con cui il Nagorno dichiarò la propria indipendenza. La guerra tra le due repubbliche ex sovietiche ha causato 20-30 mila morti e un milione di profughi. Nel maggio 1994 arrivò il cessate il fuoco con la mediazione della Russia: agli armeni rimase il controllo del Nagorno e di altre regioni dell’Azerbaijan (circa il 20% del suo territorio).

Le quattro risoluzioni delle Nazioni Unite che intimavano di ritirare le truppe dalla province occupate sono così rimaste disattese, mentre ai negoziati promossi dal Gruppo di Minsk – un gruppo di lavoro creato dall’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa - non è seguito nessun trattato di pace.

Alla base ci sono due diverse letture del conflitto: la secessione del Nagorno e il diritto all’autodeterminazione dei popoli, secondo gli armeni e le autorità dell’NKR; il tentativo di espansione armena e la violazione dei confini, secondo gli azeri. Nel 2006 l’NKR si è dato una nuova costituzione definendosi uno Stato sovrano, ma nessun Paese al mondo lo ha riconosciuto.

Nella repubblica autoproclamata vivono circa 143 mila persone ma per l’Azerbaijan (e per il diritto internazionale) si tratta di un territorio azero occupato militarmente dall’Armenia, di cui l’NKR usa lingua e moneta.

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Per entrare nell’NKR basta registrarsi: il visto si prende nella capitale, Stepanakert

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Il primo insediamento dell’NKR: questa zona non fa parte della regione storica del Nagorno ma è territorio azero occupato dagli armeni

NEL 2014 PIU’ DI 70 MORTI. «SI RISCHIA UN NUOVO KASHMIR»

La fine delle operazioni militari non ha portato al disarmo e la questione del Nagorno è diventata un tipico esempio di frozen conflict, “conflitto dimenticato”, con vittime ogni anno. La zona è la più militarizzata d’Europa e vive una situazione di «pace armata che non potrà durare all’infinito», come spiega nel libro Giardino di tenebra il saggista italiano di origine armena Pietro Kuciukian.

Il nervosismo si è esteso infatti anche in altre regioni di confine tra Armenia e Azerbajian, come il Tavush, a nord, pericoloso per la presenza di cecchini. «La situazione è molto ingarbugliata per motivi storici, che ai tempi dell’Urss non si vollero capire né risolvere – spiega lo storico Marcello Flores, professore dell’Università di Siena – In questi casi serve un compromesso sulla gestione del territorio, come la cessione di autonomia e il suo riconoscimento da parte delle popolazioni. Oppure si rischia una situazione come il Kashmir, dove da decenni si combatte a bassa o bassissima intensità, senza alcuna soluzione».

Nonostante un avvicinamento verso la pace nel 2009, nel 2010 e 2011 il cessate il fuoco è stato violato più volte. E dall’agosto del 2014 i combattimenti si sono fatti sempre più intensi. Il calcolo delle vittime è difficile perché mancano osservatori imparziali e le uniche notizie, fornite dai Governi, sono spesso discordanti.

Secondo i dati raccolti dall’autorevole giornalista e analista Emil Sanamyan (armeno nato a Baku che vive a Washington) il 2014 è stato l’anno più sanguinoso dalla fine della guerra con 72 morti, 39 azeri e 33 armeni. Mentre le spese militari non sono mai state così alte. Secondo le stime del Sipri, lo Stockholm International Peace Research Institute, nel 2000 erano di appena 68 milioni di dollari per l’Armenia e 120 milioni per l’Azerbaijan. Nel 2013 la spesa armena è salita a 427 milioni (un aumento del 528%), mentre quella azera è esplosa a 3 miliardi e 440 milioni. Una crescita che sfiora il 2800% in 14 anni.

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Un villaggio del Nagorno Karabakh

IN VIAGGIO NEL NAGORNO, TRA CHIESE, MILITARI E ROVINE

Raggiungere il Nagorno Karabakh è un viaggio lungo e difficile. Dal lato azero è severamente vietato oltreché pericoloso. L’unica soluzione è attraversare l’Armenia, con tre passi di montagna e tornanti che superano i 2300 metri sul livello del mare. D’inverno le temperature raggiungono i venti gradi sotto zero e le strade diventano impraticabili per la neve e il ghiaccio. Sull’altopiano di Sisian, prima del confine, nevica anche ad aprile e per mesi il paesaggio diventa un deserto bianco punteggiato da tralicci dell’alta tensione.

A una ventina di chilometri da Goris c’è la frontiera. La prima città che si incontra in Nagorno è Shushi, un tempo uno dei centri più grandi del Caucaso meridionale. Durante la guerra fu abbandonata da buona parte degli abitanti e nonostante sia in ricostruzione sembra ancora una città spettrale. La capitale dell’NKR è Stepanakert (per gli azeri Khankendi). Una cittadina sgangherata con 53 mila abitanti - meno di Viareggio - tanti uomini in tuta mimetica e mezzi militari nelle strade.

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L’unica strada che porta in Nagorno Karabakh passa per l’altopiano di Sisian, dove nevica sino ad aprile

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Nella strada che porta in Nagorno le stazioni di servizio sono poche, ma nei villaggi si trovano benzinai “abusivi”

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La provincia armena di Syunik, al confine con la Repubblica del Nagorno Karabakh

Alvard Sargsyan è nata a Stepanakert nel 1991 ed è deputata nel Parlamento giovanile dell’NKR. Ha conosciuto la guerra attraverso i racconti del padre Ashot, dirigente governativo all’epoca leader nell’esercito che difendeva la città. Alvard fa un dottorato in scienze politiche a Yerevan e sogna di contribuire alla soluzione del conflitto; da quando aveva 17 anni partecipa a progetti di pace, grazie ai quali ha conosciuto molti coetanei azeri.

La vita in Nagorno in questi anni è felice – racconta sorridendo – Ci sono molti matrimoni e la gente ha speranza per il futuro. Ma a livello politico non ci sono stati miglioramenti, anche perché l’Europa non sembra interessata al nostro conflitto. Puntare a essere uno Stato indipendente non può però essere il nostro obiettivo: la gente del Nagorno ha lottato per diventare parte dell’Armenia. Siamo la stessa nazione, lo stesso popolo».

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Shushi era una delle città più grandi del Caucaso meridionale, ma durante la guerra fu abbandonata da buona parte degli abitanti

L’OSTILITA’ DI CHI E’ NATO NEGLI ANNI ’90

Durante la guerra la convivenza tra armeni e azeri è finita bruscamente con la fuga nei Paesi di origine e massacri da entrambe le parti. Su tutti: i pogrom di Sumgait, Kirovabad e Baku, quando tra il 1988 e il 1990 gli azeri assaltarono i quartieri armeni in Azerbaijan; il massacro di Khojali nel 1992, quando l’esercito armeno uccise centinaia di civili azeri. Da più di vent’anni gli incontri tra le popolazioni sono molto rari e, specialmente in Azerbaijan le nuove generazioni sono cresciute in un clima di odio.

Yusifov Sanan è un ragazzo azero nato nel 1989 sulle montagne di Fuzuli, un distretto dell’Azerbaijan ora parte dell’NKR. Durante la guerra ha perso entrambi i genitori. «Siamo stati cacciati dalle nostre terre quando eravamo una nazione giovane con un piccolo esercito», spiega animatamente Yusifov, che ha studiato in Scozia dopo una laurea in Relazioni internazionali a Baku. «Non capisco il silenzio delle Nazioni Unite davanti a una simile ingiustizia». Nel Regno Unito Yusifov ha conosciuto diversi armeni, ma non ritiene possibile alcuna amicizia. «La maggior parte di loro appoggia l’occupazione nei nostri confronti. Io voglio la pace e studio la diplomazia, ma in questo caso non servirà. L’Armenia è un Paese aggressore che continua la sua politica belligerante: l’Azerbaijan ha il diritto di farle guerra».

Ruslan Alizade e Mariam Hovhannissam sono nati nel 1994: il primo in Azerbaijan, a Baku, la seconda in Armenia, a Gyumri. Si sono conosciuti in Moldova nel 2014 durante un progetto europeo “Youth in action”. Per entrambi era il primo incontro con una persona della nazione nemica. «Nel gruppo c’erano numerosi azeri e armeni che non avevano alcuna intenzione di rivolgersi parola – racconta Selena Candia, architetto genovese che ha preso parte al programma di scambio – Solo dopo una settimana si sono convinti a cenare allo stesso tavolo. E addirittura si sono stupiti perché “i vicini nemici” non erano così malvagi come venivano dipinti nel loro paese».

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Stepanakert, la capitale dell’NKR, ha circa 53 mila abitanti. Meno di Viareggio

I RAPPORTI TRA ARMENIA E TURCHIA A 100 ANNI DAL GENOCIDIO

La questione del Nagorno non riguarda esclusivamente la sicurezza nel Caucaso, ma interessa i rapporti economici dell’intera regione con i Paesi confinanti e l’Europa. A sostegno dell’Azerbaijan non c’è solo il diritto internazionale: il Paese è in fortissima crescita e soprattutto è uno strategico produttore di gas e petrolio. Tra le conseguenze più eclatanti della questione del Nagorno ci sono i rapporti tra Turchia e Armenia. A 100 anni dal genocidio armeno (compiuto dall’Impero Ottomano e mai riconosciuto dal governo turco) le relazioni sono ai minimi termini. Le frontiere tra i due Paesi furono chiuse dalla Turchia nel 1993 durante la guerra in Nagorno - a sostegno dell’Azerbaijan turcofono e islamico - e non sono mai state riaperte.

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Yerevan, nel Parco della Vittoria i carri armati puntano verso il confine turco

&nbsp;Yerevan, la capitale dell’Armenia

 Yerevan, la capitale dell’Armenia

NOVEMBRE 2014, L’AZERBAIJAN: «ABBATTUTO UN ELICOTTERO ARMENO»

In una situazione già così complessa la crisi si è spostata sul piano militare. Il 12 novembre 2014 l’Azerbaijan ha comunicato di aver abbattuto un elicottero armeno che stava sorvolando il Nagorno sul fronte di guerra. L’Armenia, il cui presidente Serz Sargsyan è nato nel Nagorno, ha subito minacciato pesanti conseguenze. Ma i Paesi non sono d’accordo sulla dinamica degli eventi: per il governo di Baku si tratta di legittima difesa da un attacco di due elicotteri armeni in volo sul territorio azero; per Yerevan e Stepanakert l’elicottero era un mezzo dell’NKR in addestramento.

«La tensione in Armenia è aumentata - assicura Simone Zoppellaro, corrispondente da Yerevan per l’Osservatorio Balcani Caucaso, think thank italiana che studia e racconta questa parte di mondo – L’Armenia si sente sempre più isolata, anche perché la Russia, sua amica, è sempre più coinvolta nella questione ucraina. E intanto i messaggi dall’Azerbaijan si fanno sempre più minacciosi». A gennaio, solitamente il periodo più tranquillo dell’anno per il freddo e la neve, ci sono stati 12 morti e 18 feriti.

A febbraio l’NKR ha annunciato che a maggio ci saranno le elezioni per il Parlamento. Le violazioni del cessate il fuoco sono state quotidiane con diverse uccisioni (le cifre sono discordanti) da entrambe le parti. Nei primi tre giorni di marzo ci sono già stati cinque morti: l’Azerbaijan ha comunicato la morte di un suo militare, mentre i media armeni parlano di più di duecento spari dal fronte azero, con l’uccisione di quattro soldati del Nagorno. Tre avevano 19 anni.

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Yerevan

IL PRESIDENTE DELL’AZERBAIJAN: «Il NAGORNO NON SARA’ MAI INDIPENDENTE»

I desideri di guerra sono diffusi su internet, dove Facebook, Twitter e Instagram annotano una lista sterminata di profili con il prefisso “fuck” seguito dal paese avverso. I media in Azerbaijan – che secondo la classifica 2014 della ong Freedom House è al 183esimo posto su 197 Paesi per la libertà di stampa – gettano benzina sul fuoco.

Sul sito in inglese Azernews.az c’è addirittura uno spazio apposito che raccoglie notizie negative riguardanti l’Armenia, mentre i messaggi dei vertici politici sono sempre più infiammati. Il presidente dell’Azerbaijan llham Aliyev ha più volte dichiarato: «Il Nagorno non sarà mai indipendente».

(L'Espresso.it, 11 marzo 2015)