«Io, operaio comunista in ferie in Corea del Nord»

«Mi piace viaggiare», dice. Poi aggiunge: «Sono un operaio.  E sono comunista». Quarantacinque anni, posto di lavoro in un’officina navale a Genova, per Giacomo Marchetti le ferie di settembre sono state estreme: nove giorni in Corea del Nord. Un Paese di cui si sa ben poco, a parte che è una dittatura. I reportage indipendenti sono pochi, i racconti dei media internazionali uniformi: un regime comunista da temere per i test atomici e il suo leader sanguinario, Kim Jong-un. «Ho sempre viaggiato in luoghi meno battuti, dai campi profughi in Palestina e Libano al Donbass in Ucraina», racconta Marchetti, che scrive di politica internazionale per siti di sinistra come Contropiano, Carmilla e l'Antidiplomatico.  «Volevo capire quanto la visione che abbiamo della Corea del Nord fosse distorta dalla propaganda occidentale. E francamente penso sia così».

Juche Tower, Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Juche Tower, Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Marchetti ha visitato la Corea con un gruppo di amici nell’unico modo possibile, tramite agenzia. Esistono infatti tour operator cinesi e nordcoreani che organizzano il viaggio nei minimi dettagli con pranzi, cene e pernottamenti. Il gruppo ha visitato il monte Myohyang, le città di Kaesong, Wonsan, la costa a Nampho e ovviamente la capitale Pyongyang: una città moderna e senza traffico perché praticamente non ci sono auto, dove le persone si spostano a piedi, in tram e metropolitana.

Piazza Kim Il Sung, Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Piazza Kim Il Sung, Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Le regole del viaggio erano chiare da subito: non si potevano fotografare soggetti militari mentre le statue dei leader dovevano essere ben ritratte. Le due guide, obbligatorie, hanno seguito il gruppo in ogni spostamento.  Una limitazione impensabile per altri paesi del mondo: può far sorgere il sospetto che servano per controllarsi a vicenda, ed essere certi che i turisti non vedano nulla che il regime non vuole né interagiscano in modo incontrollato con la popolazione. In Corea il gruppo ha osservato la vita quotidiana in città e in campagna, rimanendo stupita dal tono di voce con cui le persone parlano tra di loro, molto più basso rispetto a quello italiano. Per i pasti si è privilegiato la cucina locale, che prevede una dozzina di tazzine con tanti piccoli assaggi di verdure, carne e pesce.  Assenti i farinacei e l’olio di oliva, ricca la presenza di tofu e del piatto nazionale a base di verza macerata. Le guide hanno organizzato la visita a uno spettacolo con le celebri coreografie di massa e una visita in un centro doposcuola dove i ragazzini si dedicano all’arte o alla musica. Al gruppo hanno mostrato i tanti parchi, affollati da persone che dopo il lavoro si svagano con attività sportive e le immancabili coreografie. «Certo, a Pyongyang la sera non c’è la movida», racconta Marchetti. «Però non mancano ristoranti e locali dove si beve birra e vino. Siamo anche andati in una pizzeria italiana».

Militari e sposi rendono omaggio ai due leader, Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Militari e sposi rendono omaggio ai due leader, Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Premettendo che l’idea politica di Giacomo Marchetti è chiara,  la Corea del Nord lo ha affascinato per la pianificazione delle città e l’attenzione riservata all’educazione dei bambini. «Da noi i centri urbani sono svuotati di vita a uso e consumo della classe medio alta e dei turisti, il resto è una periferia che va per gradi verso lo sfacelo», spiega. «Per noi occidentali è scioccante una società senza l’iperconsumo, ma l’essenziale in Corea non manca. Il benessere della capitale non è lo stesso delle campagne, dove comunque ci sono strutture che garantiscono la dignità alle persone».

Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Pyongyang. Foto di Giacomo Marchetti

Sulla possibilità che le guide nordcoreane mostrino ai turisti una realtà edulcorata del Paese, Marchetti non è d’accordo. «In occidente le libertà sono garantite in modo formale e praticamente non abbiamo più garanzie sociali, ma al tempo stesso non vogliamo riconoscere che esistono altri sistemi economici. Continuiamo a pensare che la Corea sia un paese “eremita” quando invece ha rapporti stretti con la Cina, che da sola fa un miliardo e trecento milioni di persone, e poi relazioni bilaterali con Russia, Cuba, Venezuela, Vietnam. La riteniamo erroneamente “un paese fuori dal mondo”, ma siamo noi ad averne una visione distorta: pensiamo di rappresentare la sua totalità, e invece siamo solo il mondo occidentale».

(L’Huff post, 21 ottobre 2019)