Acquario di Genova: top in Italia, 13esimo nel mondo. La classifica di Trip Advisor

Primo in classifica in Italia, ai vertici nel mondo. L’Acquario di Genova è al primo posto nella Top10 italiana che Trip Advisor dedica ad acquari e zoo. E pure nei confronti dei concorrenti esteri va alla grande: quinto posto nel Top25 in Europa, tredicesimo nella Top25 del mondo.
 
I vincitori dei "Traveller's Choice Awards" sono decretati dalle recensioni che milioni di viaggiatori lasciano sul sito TripAdvisor nel corso dei 12 mesi. Grazie alle ottime recensioni ricevute, l’Acquario ottiene anche il Certificato di Eccellenza 2015, premio annuale che riconosce l'eccellenza nel settore ricettivo. E il risultato è una conferma, visto che l’Acquario aveva già conseguito il Certificato nel 2012.

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Su Trip Advisor le recensioni sono una valanga, 4510. Con netta predominanza di “Eccellente” (ben 1891) e “Molto buono (1598). I visitatori impazziscono davanti a pinguini, foche e delfini, affascinati da tutto quello che si muove nelle vasche, che siano meduse, piranha o squali. E gli aggettivi che rivelano l’entusiasmo si sprecano: “meraviglioso”, “fantastico”, “indimenticabile” e via dicendo, passando in rassegna  tutto il vocabolario di lingua italiana che porta le cose belle al superlativo. «Il giudizio dei nostri visitatori – commenta Giuseppe Costa, Presidente di Costa Edutainment – è per noi un elemento fondamentale al quale da sempre prestiamo grande attenzione. Con Tripadvisor e l’apertura dei canali social si è intensificato ulteriormente l’ascolto del nostro pubblico di cui da anni monitoriamo la soddisfazione».


 
Se nella gara con gli acquari italiani non c’è storia (il primo dopo Genova è il SeaLife Aquarium del Lido di Jesolo, solo all’ottavo posto), per competere con il resto d’Europa bisogna però migliorarsi. Ma chi è prima di Genova? Al primo posto c’è l’Oceanario di Lisbona (Portogallo), al secondo l’Oceanografic di Valencia (Spagna), subito dopo l’Aquaworld di Chersonisos (Grecia) e poi Mundomar di Benidorm (ancora Spagna). L’Europa meridionale non sarà il massimo nel far quadrare i conti, ma quanto ad acquari batte tutti.


Fango, zanzare e marmellate di bufalo. Eppure mi trasferirei in Laos

Nei cento chilometri che separano l'ultima città vietnamita dalla prima città laotiana, Muang Khua, la vegetazione è così rigogliosa da render gradevoli le centinaia di curve che scavano i fianchi delle montagne. Il viaggio termina a Muang Khua perché termina la strada. Il fiume Nam Ou non ha ponti, solo acqua marrone e piroghe che aspettano passeggeri diretti a sud. Basta avvicinarsi alla riva, trattare con i barcaioli e aspettare che qualcuno vada nella stessa direzione: in tre ore di navigazione si arriva al primo villaggio nella giungla, Muang Noi.

Muang Khua

Muang Khua

Una striscia di case di legno spunta tra le montagne maestose, all'ombra di palme da cocco e banani. Non c'è elettricità, solo generatori con cui leggere un po' dopo il tramonto e farsi divorare dalle zanzare. Il cellulare non prende, non c'è nessuna strada. All'alba le montagne sono velate da nubi, appena si alza le nebbia - se ci si stufa di spiare le donne che lavano le vesti - si può andare a pesca insieme agli uomini del villaggio: in piedi, con l'acqua del fiume alla cintola e le reti pesantissime da lanciare a mano, un cappello a cono per ripararsi dal sole.

Muang Noi

Muang Noi

Muang Noi

Muang Noi

Un'ora di navigazione porta alla strada per Luang Prabang, l'antica capitale del Laos Patrimonio dell'Unesco dal 1995. Nella città ci sono trentadue templi buddisti, poche automobili, centinaia di monaci vestiti con le tuniche color zafferano e tanti bar dove dissetarsi con succhi di dragon fruit e gustare una delle specialità del luogo: il jaew bawng, una marmellata di pelle di bufalo essicata con il peperoncino (da "spalmare" su alghe di fiume essicate). Insomma, una roba deliziosa.

Il Mekong, Luang Prabang

Il Mekong, Luang Prabang

In poche ore di sawngthaew, un furgoncino con due panche nel cassone a far da sedili, si arriva a Vientiane, la capitale del Laos. La "città del legno di sandalo" ha soli 230 mila abitanti e un gigantesco Mekong che la separa dalla Thailandia. Basta una giornata di viaggio per arrivare nel sud del paese, alle "Quattromila isole". In questa zona il Mekong raggiunge la sua massima larghezza - 14 chilometri durante i monsoni - mentre durante la stagione secca si ritira e affiorano migliaia di isole, lembi di terra, lingue di sabbia.

Quattromila isole

Quattromila isole

Quattromila isole

Quattromila isole

Ho pensato a lungo che se dovessi scegliere un posto del sud est asiatico dove trasferirmi, le 4 mila isole sarebbero la mia prima scelta. Non è difficile capire perché. La vita nei villaggi di palafitte prosegue placida, noncurante dell'elettricità arrivata da poco. Gli uomini sono chini nei campi di riso, gli anziani dondolano sulle amache, i bimbi si lanciano nel fiume, tra farfalle grandi come uccellini. Tutto intorno, il Mekong. Un paradiso: basta ricordare di portare con sé tanti, ma tanti tanti, libri.

(anche su L'Huffington Post)

 

 

 

Monviso, la piramide dei due mondi

Sembra una piramide, impervia e gigantesca. Si vede dalla pianura padana e domina le valli occitane che lo circondano, ma solo la mattina presto perché poi si incappuccia di nuvole. Con 3842 metri d’altezza il Monviso è il monte più alto delle Alpi Cozie.  “Re di pietra”, lo chiamano. Tra le sue rocce laghetti cristallini, stambecchi e rifugi d’alta quota. Nel maggio 2013 l’Unesco lo ha riconosciuto come Riserva della biosfera nazionale e transfrontaliera. Quasi trecentomila ettari tra le province di Cuneo e Torino che comprendono i due versanti del Monviso, il colle dell’Agnello e il colle delle Traversette e si estendono nei territori delle valli Maira, Varaita, Po, Bronda e Infernotto.  

Il Monviso

Il Monviso

Il giro del Monviso è un trekking storico: il primo ad aggirarlo fu J.D. Forbes, docente di filosofia naturale dell’Università di Edimburgo, nel 1839. L’escursione richiede tre giorni di cammino, ma non mancano itinerari da una settimana o gare sportive che lo aggirano in otto ore, di corsa.  I panorami sono aspri e severi, addolciti dai fischi delle marmotte e dalle stelle alpine.  

La vista dal rifugio Quintino Sella

La vista dal rifugio Quintino Sella

Si parte da Pontechianale, in Val Varaita, tra le baite e i pascoli di mucche. La cultura provenzale è esibita con orgoglio da pochi abitanti rimasti: raviole, tomini e danze occitane al suono di fisarmonica, organetto e ghironda. Dal centro del paese si costeggia lo splendido lago sino alla diga. Quando fu costruita, negli anni ’40, sommerse una borgata: nei periodi di magra se ne intravedono i resti sul fondo del lago.

Pontechianale

Pontechianale

Il primo giorno serve per raggiungere il rifugio Quintino Sella. Dalla frazione Castello (1600 metri s.l.m.) si cammina almeno cinque ore. Il dislivello è 1150 metri in salita e 150 metri in discesa. Si percorre la ripida mulattiera sino a raggiungere l’Allevè - il bosco di pini cembri più grande d’Italia, tra i più estesi di Europa - e si attraversano prati e pietraie sino all’alto Vallone delle Giargiatte.

La nebbia e le nuvole vanno e vengono, una conca con centinaia di “omini” di pietra porta al Passo di San Chiaffredo (2764) che separa la Val Varaita dalla Valle Po. La natura è selvaggia, vicino ai laghi delle Sagnette c’è la neve anche d’estate. Il lago grande di Viso è proprio sotto la parete occidentale del monte, così come lo storico rifugio Quintino Sella, dedicato al fondatore del Cai. Siamo a 2640 metri sul livello del mare.  

Il lago grande di Viso

Il lago grande di Viso

Il secondo giorno è il più duro: per raggiungere il rifugio Viso, in Francia, bisogna camminare quasi sette ore. Il dislivello, sia in salita che in discesa, supera i mille metri. Si cammina ai piedi del Monviso tra laghi, morene e residui di neve. ll lago Chiaretto appare all’improvviso con un colore azzurro lattiginoso, poco sotto ci sono il lago Fiorenza e le sorgenti del fiume Po.

Lago Chiaretto

Lago Chiaretto

Da Pian del re (2020) bisogna risalire per quasi mille metri. Da prati in fiore si arriva a pietraie con camosci e banchi di nebbia: la diroccata caserma delle Traversette domina un deserto di sassi. Il Passo delle Traversette (2950) unisce la Valle Po con la Valle Guil in Francia.

La Caserma delle Traversette

La Caserma delle Traversette

Vicino al Passo delle Traversette

Vicino al Passo delle Traversette

C’è chi giura che Annibale passò proprio di qui - con un esercito di trentamila uomini e 37 elefanti - distruggendo la montagna con fuoco e aceto.  Anziché raggiungere la cima del colle si può arrivare in Francia attraverso il Buco di Viso, un tunnel di 75 metri che si addentra nella montagna. Fu scavato nel 1478 su un’idea del marchese Lodovico II di Saluzzo e si ritiene sia il primo traforo alpino nella storia.

Il Buco di Viso

Il Buco di Viso

E’ indispensabile una torcia per attraversarlo, l’uscita nel versante francese è tra la roccia e la neve, alta più di quattro metri anche d’estate. Il rifugio Viso si vede in lontananza, nell’alta Valle del Guil, a 2460 metri.

La valle del Guil

La valle del Guil

Il terzo giorno si ritorna a Pontechianale con sei ore di cammino. Si lascia la conca di pascoli e si ritorna in Val Varaita attraverso il passo di Vallanta. Il dislivello è 350 metri in salita e ben 1200 in discesa.

Waterloo, 200 anni dopo

Le spighe erano ancora da mietere, quel 18 giugno 1815. Intorno ai campi di Mont Saint Jean erano accampati più 300 mila soldati: quasi tutti francesi, inglesi, prussiani. I francesi la chiamarono la battaglia di Mont Saint-Jean, i prussiani battaglia di Belle-Alliance. Per il resto mondo è diventata la battaglia di Waterloo, uno degli episodi militari più famosi della storia. Dopo duecento anni il Belgio ricorda quello scontro con quattro giorni di rievocazioni, le più grandi di sempre. Dal 18 al 21 giugno ci saranno migliaia di figuranti e centinaia di cavalli per rimettere in scena la battaglia che in un pomeriggio di guerra ha ridisegnato la mappa di un continente.

Waterloo

Waterloo

Giusto per dare una rinfrescatina: la Francia di Napoleone, che in una decina d’anni aveva conquistato o esteso l’influenza in mezza Europa (sino alla Russia), fermava definitivamente la sua avanzata. Anche se Waterloo può far pensare a un campo di battaglia deserto, c’è molto da vedere. Nella cittadina c’è il Museo Wellington, dove il duca inglese, comandante delle truppe alleate opposte a Napoleone, installò il 17 e 18 giugno 1815 il suo Quartier Generale. Il museo con il quartier generale di Napoleone è invece poco fuori Waterloo ed è stato restaurato per l’occasione. Come la fattoria di Hougomont, dove si consumò una delle più violente lotte tra francesi e inglesi. C’è poi la Ferme de Mont Saint Jean, un birrificio dove viene prodotta la birra Waterloo, nata nel 1456 e rinomata per la sua bontà «che guariva i malati e infondeva coraggio ai soldati».

La “Butte du lion”, la collina costruita da Wellington per celebrare la vittoria degli inglesi, si vede già dall’autostrada. Il leone spunta tra geometrie di terre arate e distese di grano, campi di pannocchie e antiche fattorie. Fu creato con il ferro dei cannoni francesi recuperati dopo la battaglia, nel luogo dove il Principe d’Orange fu ferito durante i combattimenti. Per salire sulla cima ci sono 226 gradini: la vista è meravigliosa, ed è l’unico modo per capire davvero la grandezza della piana della battaglia. Il leone ha una zampa appoggiata sul globo e simboleggia la vittoria e la pace che l'Europa ha conquistato nella piana di Waterloo. Il paesaggio è rimasto quello di un tempo, con i campi di grano verde e le pannocchie che stanno crescendo.  Ai suoi piedi c’è il Memorial 1815, appena inaugurato, con la sua impressionante esposizione di soldati in marcia e il film in 4D per rivivere la battaglia.

Ma la battaglia, chi se la ricorda davvero? Ecco un breve riassunto, giusto da non far brutta figura. Mentre nel Congresso di Vienna si cercava di ristabilire la pace in Europa, Napoleone ritornò in Francia dall’ isola d’Elba. Fu il panico: austriaci, prussiani, russi e inglesi unirono le forze e crearono un esercito con più di 900 mila soldati. Gli eserciti si incontrarono nell’attuale Belgio: Napoleone aveva 120 mila soldati, gli inglesi di Wellington e i prussiani di Blucher, che aveva più di 70 anni, erano duecentomila.  La battaglia esplose alle 11.30 del 18 giugno, dopo una notte di pioggia che aveva tramutato i campi di grano in un mare di fango. Alle 21 la battaglia era già finita. Fu un massacro. Come disse Wellington «Niente, tranne una battaglia perduta, può essere malinconica come una battaglia vinta». Sul campo restavano diecimila morti e trentamila feriti. 

(anche su L'Huffington Post)

 

 

Zelenkovac, l'eco villaggio della Bosnia diventa un documentario

Zelenkovac è un ecovillaggio della Bosnia costruito tra boschi e montagne. E' una gemma che si distingue come modello di tolleranza e dà il titolo a un documentario realizzato da tre amici, Luca Fiorato, Michele Giuseppone e Daniele Canepa. In modo un po’ folle, il fondatore di Zelenkovac Borislav “Boro” Janković, figura centrale del film, è riuscito creare uno spazio armonioso in una terra ancora così sofferente. 

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Per scoprire di più basta guardare il loro documentario: visitatori provenienti da paesi di tutto il mondo, artisti, sostenitori locali e internazionali del progetto raccontano la propria esperienza sul perché Zelenkovac è così speciale. Sullo sfondo, in contrasto, rimangono comunque le conseguenze della guerra e della corruzione, perché, ovviamente, la Bosnia è stata anche questo e lo è ancora.

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

La realtà presentata nel film Zelenkovac e l’esperienza stessa di Boro, invece, insegnano che anche da una situazione apparentemente priva di uscita, come quella della Bosnia di oggi, è possibile creare valore. “Volevo dimostrare che ognuno ha il diritto di vivere nel posto in cui è nato,” afferma con convinzione Boro. Spinti dall’obiettivo di far emergere questo tipo di atteggiamento di fiducia nei confronti della vita e di non darla vinta a coloro che prosperano sull’ “Intanto non cambia niente”,  Luca Fiorato, Michele Giuseppone e Daniele Canepa - con l’aiuto di altri quattro amici - hanno deciso di investire il nostro tempo e denaro per realizzare Zelenkovac.

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Zelenkovac -Foto di Davide Castagnola

Il film, totalmente autoprodotto e autofinanziato, è già stato completato e sottotitolato in più lingue, tra le quali l’italiano, e inviato a diversi festival nazionali e internazionali per documentari.  Grazie a una raccolta fondi con Indiegogo Zelenkovac sarà pubblicato come cofanetto (libro + DVD). Non resta che comprarlo!

 

Vacanza rurale, parte 2: WWOOF in Liguria

Un’estate a coltivare basilico e raccogliere rose, o magari a pascolare capre sull’Appennino e a tagliare la legna. Lontani da telefoni e computer, senza spendere un soldo, con letto e pasti garantiti. Non è un sogno: le opportunità di questo tipo in Liguria non mancano, basta aver voglia di stare all’aria aperta e riscoprire la vita contadina. E soprattutto, saper dove cercare. 

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

La rete mondiale Wwoof è l’esempio più celebre che mette in contatto volontari e progetti rurali. Wwoof sta  per “World wide opportunities on organic farm” ed è un circuito di aziende agricole, masserie e fattorie biologiche che ospitano chi è disposto a condividere il proprio lavoro. «ll bello di fare wwoofing è riassunto nel nostro motto: condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura», spiega Claudio Pozzi, presidente di Wwoof Italia. «Ma attenzione a non confonderlo con una vacanza a basso costo o con un modo per avere lavoratori gratis», tiene a precisare. «Il denaro non c’entra. Fare wwoofing è uno scambio in termini umani, un rapporto culturale ed educativo». 

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

La Tabacca, sede di Terra! nel Parco del Beigua

Il progetto Wwoof è nato nel 1971 in Inghilterra e grazie a internet sta crescendo in tutto il mondo: in Italia le strutture ospitanti sono circa 700, una ventina quelle in Liguria. «E ci sono sempre più domande di adesione», spiega il referente di Wwoof Liguria, Mauro Sellaroli, veronese di 27 anni che dopo la laurea in geografia ha fatto wwoofing in Liguria e ha deciso di trasferirsi in un podere sopra Vesima. «Per ora ho un orto familiare, ma a breve partirò con le capre per produrre latte, yogurt e formaggio».

La fattoria Sugarsu, a Vesima

La fattoria Sugarsu, a Vesima

Su Wwoof.it c’è la lista delle strutture ospitanti con tutte le informazioni necessarie e i tipi di lavoro richiesti. Nella valle di Sori cercano una mano per allevare le api, nello spezzino e nell’imperiese per curare gli uliveti. Dario e Laura vivono nella Fattoria Dolce Humus, vicino ad Albenga, e coltivano la terra con metodo Fukuoka, senza nessun trattamento e mezzi meccanici. Chi sogna un’estate “come un volta” rimarrà soddisfatto: «Qui non è come la fattoria di Nonna Papera – spiegano - Ci sono ragni, zanzare, bisce e un sacco di animaletti. Non abbiamo frigorifero, TV, computer, internet, videogiochi. Abbiamo la possibilità di far ricaricare solo i telefonini».

Uliveto. Da www.wwoof.it

Uliveto. Da www.wwoof.it

Gli amanti di agricolture più particolari possono rivolgersi all’Accademia Italiana di Permacultura, che riunisce chi pratica questo modo di gestire il paesaggio senza modificare l’ecosistema naturale. Un laboratorio per imparare è “La Tabacca”, un casa contadina tra i castagni del Parco del Beigua gestito dall’associazione ambientalista Terra!. «Da giugno ospiteremo volontari per realizzare orti sinergici – spiega Giorgia Bocca, vicepresidente dell’associazione -  Semineremo le colture per l’autunno e libereremo alcune fasce dai rovi. Ma tutto il casolare ha ancora bisogno di una ricostruzione, ovviamente ecologica, che renda la casa di campagna un laboratorio a cielo aperto . Sarà un modo per vivere in modo sano e sostenibile, e riscoprire il piacere di passare il tempo insieme».

(anche su Repubblica.it)

Il giro del mondo a 80 all'ora: l'impresa di Luca (e la sua vespa gialla)

L’idea gli venne durante un’estate vagabonda in Spagna, quando in sella a una Vespa tinta giallo cromo arrivò in fondo all’Andalusia, a Tarifa. Era il 2003 e c’era l’Atlantico a sbarrargli la via, ma Luca giurò a se stesso che un giorno neppure gli oceani lo avrebbero fermato. Undici anni dopo ha realizzato il suo sogno di sentieri polverosi e mani sporche di grasso, minareti, deserti e giungle tropicali. Con un’altra Vespa gialla a portarlo fin dove arriva la strada.

La partenza da Genova

La partenza da Genova

Luca Capocchiano ha 37 anni ed è un ingegnere meccanico di Genova, con un passato di successo nel mondo del Campionato Superbike – con Ducati e Honda – e un lavoro alla Ferrari, a Maranello. A ottobre dello scorso anno Luca è partito per il giro del mondo da Genova, direzione est, con l’idea di ritornare nello stesso punto dopo 40 mila chilometri e 28 Paesi, da ovest. «Perché proprio una Vespa? - spiega Luca da Bangkok, in Thailandia - Perché ha le qualità più importanti per un viaggio così lungo: l’affidabilità, la facilità di manutenzione e l’interesse dei ladri. In Europa tutti conoscono il valore di una Vespa d’epoca: altrove una Vespa d’epoca è solo una moto vecchia».

Foto di Luca Capocchiano

Foto di Luca Capocchiano

La sera del 5 ottobre Luca ha lasciato Genova con una 125 TS del 1976 dipinta di giallo Positano, un po’ di bagagli, qualche pezzo di ricambio, una tanica di benzina. E ha cominciato a raccontare il suo viaggio sul blog ilgirodelmondoa80allora.com.(dove è anche possibile donare a Luca 10 euro per un pieno). Prima fermata, Balcani. «Il Montenegro mi ha accolto benissimo – racconta divertito - Il poliziotto alla dogana che controllava stancamente i miei documenti si è illuminato leggendo la mia città natale. ”Ah Genova, Zampdoria, Mihajlović!”. E anche il proprietario del primo hotel in Albania è stato molto gentile. Mentre caricavo i bagagli, si è avvicinato e mi ha detto: “Se dormi a Tirana, portati la Vespa nel letto. Nei paesi piccoli te la rubano lo stesso, ma lì puoi ritrovarla pagando un riscatto al capo villaggio. Se te la rubano a Tirana invece sparisce per sempre”. Nei sei mesi di viaggio la Vespa ha sorpassato i ladri di Medio Oriente e Asia, ma non ha retto la traversata dei gelidi altopiani turchi.

Kurdistan turco (foto di Luca Capocchiano)

Kurdistan turco (foto di Luca Capocchiano)

Dopo una notte di neve tra le montagne del Kurdistan, a novembre, arriva infatti il primo grande intoppo. «Mi fermo a fare una foto e la moto si spegne. Riparte a fatica. Poi si spegne ancora. Ferita a morte mi ha portato in salvo fino in città, permettendomi di trovare un alloggio dove poterla controllare, come un vero cavallo da battaglia al termine dello scontro fatale». In attesa dei pezzi di ricambio Luca rimane fermo per giorni a Dogubayazit, polverosa città di confine con l’Iran. Grazie al forum di “Vespaonline.com” riesce a smontare la moto nel sottoscala dell’albergo e a riparare il danno, ormai ospite fisso di due meccanici che aggiustano le auto della loro officina a suon di mazzate.

Dogubayazit (foto di Luca Capocchiano)

Dogubayazit (foto di Luca Capocchiano)

«Al confine i poliziotti turchi erano così stupiti del mio mezzo che mi han fatto superare la lunga fila di camion, addirittura fischiando divertiti ai colleghi iraniani di là dal cancello». Dopo oltre 2500 km di discesa dalle fredde montagne del nord  - e un incontro a Isfahan  con due ragazzi napoletani diretti in Australia con una BMW – Luca arriva a Bandar Abbas, nel Golfo persico,  e dorme a casa di Omid, un ragazzo contattato tramite Couchsurfing. «Le stanze erano senza letti, armadi, neppure un comodino. Omid dormiva per terra su un piumone, non ho avuto il coraggio di chiedergli perché. Oltre a Luca ospitava Bjorne, una specie di vichingo con la faccia buona, un ragazzone tedesco partito da Amburgo e arrivato fino a Trazbon in Turchia a piedi, seguendo i binari del treno».  

Isfahan, Iran (foto di Luca Capocchiano)

Isfahan, Iran (foto di Luca Capocchiano)

Luca naviga quindi sino agli Emirati Arabi per raggiungere l’Oman, dove sembrava ci fosse una nave per l’India.  Per due giorni è adottato da un gruppo di biker: nel frattempo c’è una gara automobilistica di “drifting” (quelle dove le macchine derapano a ogni curva), fa un giro in pista con la Vespa, è premiato insieme ai vincitori e finisce sul giornale locale.

Emirati Arabi Uniti (foto di Luca Capocchiano)

Emirati Arabi Uniti (foto di Luca Capocchiano)

Ma la spedizione della Vespa dall’Oman costa troppo cara e così Luca torna a Dubai. Dove comincia il suo calvario: resta tre giorni in aeroporto in attesa di una partenza che gli assicuravano imminente, con la Vespa presa in ostaggio dagli spedizionieri e i prezzi già carissimi i lievitati a dismisura. Riesce comunque a spedire la moto a Mumbai e a risalire l’India sino al Nepal - attraverso zone remote e selvagge, terre di elefanti e grigliate a base di topo e cane – per poi ridiscendere verso il Myanmar. «Un Paese che ha aperto le frontiere via terra solamente da un anno e in cui la mia Vespa è probabilmente la prima a metterci le ruote».

India (foto di Luca Capocchiano)

India (foto di Luca Capocchiano)

Dopo la visita della Cambogia e delle meraviglie di Angkor, ecco la sosta in Thailandia. «Avevo assolutamente bisogno di un centro di assistenza Piaggio per riparare un po’ di problemi che mi trascinavo dietro da tempo». Dopo il restyling è partito per Singapore e ha imbarcato la moto su una nave container per Darwin, nel nord dell’Australia, dove è arrivato a inizio maggio. Dopo 5mila chilometri via terra sino a Melbourne  volerà oltre il Pacifico, a Santiago del Cile, punterà verso la terra del Fuego e risalirà l’Argentina sino al Brasile. Si imbarcherà per il Senegal e seguirà il percorso della vecchia Parigi Dakar, sino in Italia.

Australia (foto di Luca Capocchiano)

Australia (foto di Luca Capocchiano)

Ad aspettarlo ci sarà la fidanzata, che sul blog chiama ermeticamente “Zucchero Filato”. «Non si può dire propriamente felice della mia decisione – confessa Luca - ma nonostante non approvi capisce che era il mio sogno».  Zucchero Filato dovrà aspettare un po’ più del previsto, poiché la data del ritorno di Luca a Genova – atteso a giugno – slitterà a fine estate. La speranza di un fidanzato preciso come il celebre Phileas Fogg, che nel romanzo di Verne girò intorno al mondo in 80 giorni, è ormai un miraggio. Ma di sicuro potrà abbracciare un fidanzato bello abbronzato, fresco della traversata di Mauritania e Marocco in pieno agosto.

(anche su Repubblica.it)

Grecia di primavera. Creta, Cicladi, Atene.

Distese di fichi d’india e ulivi profumano l’aria delle campagne, viali di aranci e cascate di gerani colorano i centri abitati. Tutt’intorno il mare, ora cobalto ora turchese, spiagge dorate, il vento che sa di Mediterraneo. Egeo, forse è qui il paradiso. Sei mila isole di cui solo 227 abitate, una manciata quelle più note. La primavera è il momento ideale per viverle senza la folla dei mesi estivi.

Rodi

Rodi

L’isola più visitata della Grecia è Creta, nell’estremo sud del mar Egeo a 300 chilometri dalla costa africana. E’ la quinta isola più grossa del Mediterraneo, nota anche con il nome veneziano “Candia”. Qui nacque la civiltà minoica, tra il 2700 e il 1450 a.C. Fu riscoperta nei primi anni del Novecento dall’archeologo britannico Arthur Evans, che a pochi chilometri dalla città di Iraklion rintracciò il palazzo di Cnosso. E’ uno dei siti archeologici più importanti del Paese ed è collegato ad antichi miti della Grecia classica: era così complesso e intricato da esser menzionato come il labirinto dove il re Minosse rinchiuse il Minotauro.

Creta, Il palazzo di Cnosso

Creta, Il palazzo di Cnosso

Nel sud dell’isola c’è il villaggio di Matala, reso celebre dalle grotte preistoriche abitate da una comunità hippy negli anni ’70. La spiaggia bagnata dal mar libico divenne meta di giovani da tutto il mondo, tra cui artisti e musicisti come John Lennon, Bob Dylan, John Baez e Janis Joplin.

Creta, la spiaggia degli hippy

Creta, la spiaggia degli hippy

Le isole più vicine ad Atene sono le Cicladi. Mykonos, campo di battaglia tra Zeus e i Titani, è senz’altro la più mondana. Di estate è patria di discoteche, cocktail e spiagge nudiste, in primavera è un villaggio silenzioso con boutique eleganti e giardini colmi di limoni. I celebri mulini a vento sono poco oltre la “piccola Venezia”, un gruppetto di case incantevoli costruite proprio sul mare. ​

Mykonos, la "piccola Venezia"

Mykonos, la "piccola Venezia"

L’isola è meta del turismo dagli anni ’30 del Novecento per la vicinanza a Delo, dove c’è un sito archeologico patrimonio dell’Unesco. L’isola di Tinos dista un decina di chilometri,  il villaggio arroccato sulle colline è un’oasi di quiete per  passeggiare senza meta. Tra le case candide con i balconi blu regna il silenzio e sembra quasi di disturbare i gatti che sonnecchiano all’ombra delle bouganville in fiore.

Mykonos

Mykonos

Mykonos

Mykonos

Santorini è l’isola più meridionale delle Cicladi, gioiello dell’Egeo con la forma di mezzaluna. Appare come un’enorme falesia nera che emerge dalle acque, la sua sommità candida lascia senza punti di riferimento nella memoria e fa pensare a un abbaglio, al marmo, addirittura alla neve. Bisogna arrivare proprio sotto l’isola e mettersi con il naso all’insù per capire che si tratta dei paesi Thira e Oia, gruppi di piccole casette bianche 500 metri più in alto, a picco sul mare. La caldera sommersa è l’eredità di quella che  forse è stata la più grande eruzione vulcanica di tutti i tempi. Nel 1627 a.C. l’isola fu sventrata dall’esplosione e sprofondò nel mare, affascinando i posteri con l’irrisolvibile dubbio che proprio qui sorgesse la città di Atlantide.

Santorini

Santorini

L’arcipelago del Dodecaneso è proprio di fronte all’Asia minore, a pochi chilometri dalla città turca Bodrum. L’isola di Kos – luogo natale di Ippocrate, padre della medicina - è famosa per la ricca vegetazione e il clima temperato, le moschee e le spiagge meravigliose. A poche ore di navigazione c’è la leggendaria Patmos, luogo dove l’apostolo Giovanni  scrisse il Vangelo e l’Apocalisse. I collegamenti con le altre isole sono più difficoltosi e proprio questo restituisce ai viaggiatori una Grecia intima, genuina, dove si cammina tra i pastori per arrivare a calette deserte, e la sera ci si accontenta di una taverna dove bere un bicchiere di Ouzo. Il centro storico di Chora, il Monastero di San Giovanni e la grotta dell’Apocalisse sono state dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Patmos è uno dei pochi posti al mondo dove le cerimonie religiose sono ancora praticate nella forma originaria, come lo erano agli inizi del Cristianesimo.

Patmos, la grotta dell'Apocalisse

Patmos, la grotta dell'Apocalisse

Patmos, il Monastero di San Giovanni

Patmos, il Monastero di San Giovanni

Le principali isole della Grecia sono unite dai traghetti locali, le crociere che partono dall’Italia toccano le località più famose. Se non si ha molto tempo a disposizione si può salpare direttamente nel Mar Egeo con la compagnia Louis Cruises, che ha numerose partenze da Grecia, Cipro e Turchia. Un tour delle isole è in ogni caso un’ottima occasione per visitare la capitale Atene: una metropoli vivace con quattro milioni di persone, venditori ambulanti ai lati delle strade e una rocca nel cuore della città, l’Acropoli, dove l’umanità ha offerto il meglio del suo passato.​

Atene, l'Acropoli e il Partenone

Atene, l'Acropoli e il Partenone

Il Partenone, dopo 2500 anni di terremoti, guerre e saccheggi, domina la città con i suoi resti. Simbolo dell’architettura classica, fu costruito in onore della dea Atena per iniziativa di Pericle, nel V secolo a.C..  Nel 1687 fu colpito con una cannonata dei Veneziani che frantumò duemila anni di storia, lasciando al mondo uno scheletro di marmo dalla grandiosità ultraterrena.

Sulle pendici dell’Acropoli c’è il Teatro di Dioniso, il teatro greco per eccellenza, ai piedi del nuovo Museo dell’Acropoli c’è l’Odeo di Erode Attico. Meno noto è il santuario dedicato a Egeo, mitologico re di Atene padre di Teseo. Della sua vita si ricorda sempre l’ultimo istante: aspettava il figlio di ritorno da Creta, dove era andato a uccidere il Minotauro. Teseo avrebbe issato vele bianche in caso di vittoria e vele in nere in caso di sconfitta, ma una tempesta squarciò quelle candide  così  le sostituì con le scure. Quando Egeo vide la nave in lontananza lo credette morto e non resse al dolore: si tolse la vita, gettandosi nelle acque di quel mare ricco d’isole che ora porta il suo nome.

(anche su Repubblica.it)