Gita in Transnistria, tra carri armati e statue di Lenin

I punti di confine con la Moldova sono diversi. E non tira mai una buona aria, tra carri armati in mezzo alla strada e militari in tuta mimetica. Con pochi euro si ottiene il permesso di entrare: a mettere un timbro su un foglietto è una guardia con colbacco che non parla nemmeno una parola di inglese. Ma una cosa riesce a farmela capire: questo "visto" dura 10 ore, quindi non posso fermarmi a dormire. E occhio, perché alle 18 chiude la frontiera. Benvenuti in Transnistria: l'autoproclamata Repubblica di Transnistria.

Un punto di confine tra Moldova e Transnistria

Un punto di confine tra Moldova e Transnistria

La Transnistria è un sottilissimo lembo di terra a est del fiume Dnestr, tra Moldova e Ucraina. Uno stato indipendente de facto (non riconosciuto dai Paesi membri dell'Onu) che gli abitanti chiamano "Repubblica Moldava di Pridnestrovie".   Un paese "vero": con un proprio confine, un esercito, la polizia ed un servizio di intelligence che si chiama ancora Kgb. La lingua ufficiale è il russo, il romeno è di fatto bandito. Bandito come la moneta della Moldova, il leu: qui si paga con il rublo della Transnistria. Al massimo con il rublo di Mosca.

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

Tiraspol

La capitale della Transnistria è Tiraspol, una città di quasi duecentomila persone a dieci chilometri dal confine con l'Ucraina. Una guida turistica politicamente corretta la definirebbe "sonnacchiosa, il cui fascino si svela poco a poco". C'è poco da svelare: i negozi sono pochissimi e vendono cianfrusaglie e se vuoi mangiare, anche se ti piacciono le bettole, non sai dove andare. Dopo aver camminato a lungo all'ora di pranzo ho trovato una fast food con cibi russi: erano freddi e facevano schifo.

Anche il mercato è piuttosto "sonnacchioso", con pile di uova, alcolizzati e venditori di formaggio. Le guardie mi hanno inseguito minacciandomi di rompere la macchina fotografica se non cancellavo le foto.

Al mercato

Al mercato

Al mercato

Al mercato

Una gita in Transnistria è fattibile, anche se non è propriamente sicuro e il Ministero degli esteri italiano sconsiglia esplicitamente di farlo. Anche perché - essendo la Transnistria un Paese fantasma, non riconosciuto dall'Italia, non sarà possibile un intervento in caso di necessità.  Il problema principale non sono tanto la criminalità organizzata, i trafficanti, e il mercato nero (non per i turisti, almeno) quanto la corruzione delle forze dell'ordine, che inventano trasgressioni pretestuose per spillare soldi ai pochissimi stranieri che incontrano per le strade.  Sono stato in Trasnistria per poche ore, ed è successo: in una strada senza traffico, (nella foto qui sotto) ho attraversato fuori dalle strisce. Due poliziotti molto zelanti (e molto aggressivi) mi hanno inseguito e hanno iniziato a intimarmi di seguirli. In russo mi hanno fatto capire che avrei dovuto pagare una multa. Non li ho seguiti, inteso: la discussione è andata avanti un po', ho alzato la voce anche io, e mi hanno lasciato andare.

La casa del Soviet

La casa del Soviet

D'altronde, per un poliziotto locale un turista è un bel pollo da spennare. E non è che ti capiti davanti tutti i giorni, visto che la Trasnistria è tra i Paesi meno visitati al mondo. Basti che pensare che secondo i dati del Wto, l'Organizzazione mondiale del turismo, dal 2010 a oggi gli stranieri che hanno passato almeno una notte in Moldova oscillano intorno a quota 10 mila all'anno: è di gran lunga il paese meno visitato d'Europa, e si contende le ultime posizioni nel mondo con isole sperdute nel Pacifico. Figurarsi la Trasnistria, che è molto più piccola della Liguria ed è a costante rischio di invasione da parte della Russia (un'invasione che per il Governo autoproclamato sarebbe la benvenuta, visto che sogna l'annessione a Mosca, specialmente dopo il fattaccio della Crimea).

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E oltretutto non ci sono attrazioni turistiche, neanche per sbaglio. A parte la fabbrica di brandy (che però era chiusa). La libreria nella via principale, che vende gli stemmi della Pridnestrovie, conla scritta in cirillico e la falce e il martello tra i fasci di grano. E poi vabbè, le statue di Lenin. Molto sobrie. Che per chi è nato quando l'Urss era già moribonda, valgono da sole il viaggio.

Il palazzo del presidente

Il palazzo del presidente

La casa del Soviet

La casa del Soviet

(HuffPost, 9 marzo 2016)

 

 

 

Viaggio nella città di "Cronaca di una morte annunciata"

A Mompox tutti gli uomini cercano di attaccare bottone con gli italiani. «Trent’anni fa, qui è c’è stata la donna più bella del mondo», raccontano con gli occhi ancora sognanti.  Basta trovare una vecchia locandina in un bar per capire il perché. Siamo in Colombia, dove «l’unico rischio è di volerci restare». All’ente nazionale del turismo non manca l’ironia nel promuovere un paese ricco di meraviglie storiche e naturali, ma noto al mondo per il passato violento.

Mompox. venditore di Ananas

Mompox. venditore di Ananas

Mompox

Mompox

Raggiungere Mompox è un viaggio difficile, faticoso e indimenticabile.  Mompox è nel nord della Colombia, a 100 chilometri dal Venezuela. Le città più vicine sono Cartagena, Barranquilla (famosa per la sua bruttezza finché non è nata lì Shakira) e la pericolosa Cucuta.  Io l’ho raggiunta partendo all’alba da Medellin, circa 700 chilometri più a sud, con un infinito viaggio in bus lungo la Panamericana.  I posti di blocco sono frequenti, e agli autobus capita più volte al giorno di essere fermati per controlli di bagagli e documenti da parte di militari armati di mitra. Il bus mi lasciò nel tardo pomeriggio su un bivio lungo l’autostrada, indicandomi un furgoncino sovraffollato che stava aspettando proprio me.  Siamo partiti a rotta di collo, attraverso un paesaggio brullo ma molto bello, praticamente disabitato. L’unica fermata è arrivata dopo un’ora a Maganguè, sul fiume Magdalena.

Maganguè

Maganguè

Mi hanno detto di fare veloce perché l’ultima barca sarebbe partita poco dopo. Sono montato sopra una chalupa che ormai il sole stava tramontava, e per più di mezz’ora ho navigato questo fiume gigantesco, di cui in Europa nemmeno conosciamo l’esistenza. Abbiamo attraccato a un molo di cemento in mezzo al nulla. Era buio. Un gruppo di ragazzetti più piccoli di me hanno cominciato a venirmi in contro. «Ola amigo, ola amigo», hanno cominciato a urlare cercando di trainarmi alla loro moto. Io in effetti non sapevo quale scegliere: da lì ci sarebbero stati 50 chilometri nel buio più totale, in sella con uno sconosciuto.

Mompox

Mompox

Un tassista si è avvicinato e mi ha detto. «Vieni con me, in moto è davvero pericoloso. L’asfalto è un disastro, la strada è piena di pietre e solo chi guida ha il casco. Se ti va bene che non cadi, rischi di spaccarti la testa con un sasso che salta. Io tanto devo tornare a Mompox perché abito là. Mi bastano cinque dollari». Mi ha convinto. Dopo un’ora di strada devastata, Mompox. Afosa, fatiscente, meravigliosa. Unica città costruita tra due fiume immensi su cui nessuno ha costruito i ponti, il Rio Cauca e il Rio Magdalena. Ecco perché è così difficile da raggiungere. A Mompox il tempo è fermo a fine ‘800, quando i commerci fluviali deviarono la resero completamente isolata, troppo scomoda anche per la guerriglia e i narcotrafficanti.

Mompox

Mompox

Patrimonio dell’Unesco dal 1995, a Mompox non c’è assolutamente nulla da fare e il bello è proprio questo. Si può chiacchierare con i mercanti che abitano in barche colme di ananas, guardare i cani randagi che si azzuffano oppure giocare a carte lungo il fiume davanti a un succo tropicale. Ma appena capiscono che stanno parlando con un italiano, gli uomini vanno a finire tutti lì,  «alla donna più bella del mondo». Basta fare un giro nei bar e nei piccoli negozietti per capire. In una ho trovato un locandina, ingiallita.

Era il 1986 e il regista Francesco Rosi girò a Mompox ‘Cronaca di una morte annunciata’, dal romanzo di Gabriel Garcia Marquez. Nel ruolo di Angela Vicario, la protagonista del romanzo, una giovane e meravigliosa Ornella Muti.

(L'Huffington Post, 27 novembre 2015)

 

 

Tutti pazzi per la Corsica all'orizzonte

Gli avvistamenti sono cominciati questa mattina all’alba, con un po’ di incertezza se fossero davvero le montagne del “dito” o banchi di nubi all’orizzonte. Ma con il passare delle ore non ci sono stati più dubbi: oggi la Corsica era visibile da tutta la Liguria, da Sanremo sino a Lerici. Sono stati in tanti a fotografarla - chi con il cellulare, chi con macchine e zoom da professionisti – e condividere gli scatti sui social network. Esiste addirittura il gruppo Facebook “Corsica, l’isola che non sempre c’è”, con 2259 membri uniti dalla stessa passione: guardare laggiù dove il mare tocca il cielo, e sperare di vedere l’isola francese.

Foto di Martina Vezzoni da Lerici

Foto di Martina Vezzoni da Lerici

Il primo della giornata è stato Franco Sandri da Sanremo, che alle 7.46 ha aperto la gara a chi vede più lontano. Nella prima parte della giornata la Corsica si è vista chiaramente da ponente: Stefano Borroni la ha avvistata da Cap Martin, nei primi chilometri di Francia, Salvatore Sciuto ancora da Sanremo. A pomeriggio inoltrato la vista è ancora migliorata grazie al sole che ha cominciato a illuminare l’orizzonte. Alle 15.52 Danilo De Lorenzis di San Lorenzo al Mare ha cominciato a pubblicare una serie di scatti magistrali. «Per poterla rendere abbastanza nitida ho dovuto fare un paio di scatti sottoesposti – spiega agli altri appassionati - e poi li ho fusi insieme e questo è il risultato!». Marco Garberoglio replica con un altro scatto alle 16, sempre da Sanremo.

Foto di Matteo Serle dalle alture di Genova Voltri

Foto di Matteo Serle dalle alture di Genova Voltri

Con l’avvicinarsi del tramonto l’isola comincia a vedersi anche da est, dalla Toscana. Martina Vezzoni di Lerici ha messo una foto su Instagram e Facebook a sole già scomparso. Matteo Serle di Voltri ha scattato dopo le 18 dalla strada della Cannellona, l’antica via che collegava l’estremo ponente genovese con Masone. E un po’ si rammarica.  «Purtroppo oggi non avevo la reflex dietro, è stata una sorpresa».

(Repubblica.it, 17 gennaio 2016)



Iraq, l'altra faccia della guerra

Ci sono i ritratti di giovani spose yazide e la storia di un macellaio bambino. Raffinerie di petrolio e vecchi hotel diventati rifugi di fortuna, una scuola improvvisata sulle montagne al confine con l’Iran. Il protagonista è sempre lo stesso, il Kurdistan iracheno con la sua marea di sfollati. «Di solito i fotografi restano in Iraq una o due settimane. Ma non bastano per entrare nell’intimità delle persone: così abbiamo dedicato un anno della nostra vita a questa tragedia umanitaria». Dario Bosio ha 27 anni ed è cresciuto a Vallecrosia, in provincia di Imperia. Per tutto il 2015 ha realizzato Map of Displacement (www.mapofdisplacement.com), una lunga indagine giornalistica sugli iracheni in fuga dall’Isis: il progetto è stato presentato a New York a metà ottobre, poi è toccato a Praga.

Dopo gli studi a Firenze e in Danimarca,  uno stage a Telenord e un tirocinio in Olanda, Dario ha lavorato a Roma come assistente del fotoreporter italiano Franceco Zizola.  A febbraio di quest’anno è volato nel Kurdistan iracheno per raggiungere il fotografo torinese Stefano Carini, su compagno di lavoro nell’agenzia Noor. «Stefano era da qualche mese a Sulaymaniyah», racconta Dario. «Lavorava nell’unica agenzia fotografica dell’Iraq, Metrography, con una missione: trasformarla in un’agenzia internazionale».

Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno

I due hanno così creato una squadra con i migliori fotografi del Paese, Stefano come editor in chief, Dario come photo editor e project manager. Con loro hanno battuto il Kurdistan alla ricerca di storie. «Spesso la guerra viene affrontata con immagini dal fronte di battaglia», continua Dario. «Noi volevamo invece raccontare gli iracheni displaced. Quelli evacuati, trasferiti, sfollati. Che non sono profughi, perché non hanno cambiato Paese. Ma hanno dovuto abbandonare le loro case e ricostruirsi la vita». E’ un destino che tocca a molti, in Iraq. La guerra contro l’Isis ha sfollato più di un decimo della popolazione e un milione e mezzo di iracheni si è trasferito nella regione autonoma curda. E La forza di Map of Displacement è proprio questa: i fotografi di Metrography sono tutti iracheni e conoscono bene l’argomento, perché  alcuni sono stati sfollati per la guerra con l’Iran e le persecuzioni di Saddam.

Durante il 2015 l’agenzia ha collaborato con le più importanti testate del mondo- dal New York Times al Der Spiegel -  e le dodici storie di Map of Displacement sono state abbinate a opere di giornalisti internazionali.  Il 13 ottobre è arrivata la presentazione negli Usa, a fine mese il progetto è finito su Lens del New York Times.  Nel frattempo Dario Bosio si è iscritto ad Antropologia, a Berlino. «Ci sono tante ragioni per non voler vivere in Iraq», spiega. «Ma continuerò a seguire Metrography, perché il legame con la regione rimarrà. I curdi hanno una cultura millenaria martoriata, che devono raccontare al mondo: nessuno può farlo meglio di loro».

(La Repubblica, 13 novembre 2015)

A galla nel mar Morto, il punto più basso della Terra

E’ proprio vero, qui la gente galleggia. Letteralmente: si butta in acqua e non affonda, nemmeno volendo. Ma neppure nuota, perché mica ci si riesce. Galleggia e basta. Magie del Mar Morto, dove la concentrazione di sale è così elevata che i corpi stanno a pelo d’acqua senza sforzo.

Io che galleggio

Io che galleggio

Selena che galleggia

Selena che galleggia

Siamo in Giordania, al confine con Israele. Il Mar Morto è uno specchio d’acqua blu scuro, quando si alza il vento siincrespa di onde spumeggianti. Nella zona i trasporti pubblici sono carenti e il modo migliore per visitare questa zona è affittare un’auto. E’ importante avere sempre con sé il passaporto perché i Territori palestinesi della Cisgiordania sono a un passo e i check point militari numerosi. Il sole è cocente e il paesaggio da frontiera, polveroso, povero. Molta gente si sposta con i dromedari e davanti ai negozi può capitare di vederli “parcheggiati”, legati con la corda a un palo della luce.  

Dal Monte Nebo: direzione Dead Sea

Dal Monte Nebo: direzione Dead Sea

Nei millenni la forte evaporazione ha fatto diminuire il livello delle acque in modo costante (anche perché qui non piove praticamente mai) e man mano che l'acqua è evaporata i sali si sono accumulati: in questo modo il Mar Morto è diventato molto più salato degli oceani e questa alta salinità ha impedito agli organismi più grandi, come pesci e rane, di sopravvivere.  Il livello dell’acqua è così sceso “sotto” il livello del mare. Ed è per questo motivo che il Mar Morto si trova nella depressione più profonda della Terra.

Il Mar Morto

Il Mar Morto

Nel Mar Morto c'è tanto tanto sale

Nel Mar Morto c'è tanto tanto sale

E il suo livello continua a diminuire sempre più rapidamente, tanto che si pensa che prima o poi, nel medio lungo periodo, scomparirà. Nel passato il fiume Giordano gli portava le sue acque dolci, ma il suo sfruttamento per raccogliere acqua potabile e irrigare i campi lo ha ridotto a poco più di un rigagnolo. Le industrie che produce carbonato di potassio nella parte meridionale del Mare – ormai una pianura arida – di certo non aiutano. Proprio nell’estremità a sud, presso la grotta di Lot, si raggiunge il punto più basso della Terra, a meno 408 metri sotto il livello del mare.  Secondo la Bibbia è qui che Lot, nipote di Abramo, si rifugiò dalla distruzione di Sodoma e Gomorra.

Vicini alla Cava di Lot, il punto più basso della Terra:  -408 metri sotto il livello del mare

Vicini alla Cava di Lot, il punto più basso della Terra:  -408 metri sotto il livello del mare

(L'Huffington Post, 21 ottobre 2015)


Cinque Terre, Rio Maggiore al top dei PaesiOnline

Piace perché «le sue casette colorate sono a picco sul mare», «la macchina non serve» e «ci sono ottimi ristoranti» con pesce e vino sciacchetrà. Ma soprattutto perché e romantica, e al tramonto il paesaggio leva davvero il respiro. Riomaggiore è stata premiata dalla rete sul portale PaesiOnLine, leader nel settore del turismo: grazie ai giudizi dei visitatori la più orientale delle Cinque Terre è entrata a far parte delle località top rated nella categoria “sole e mare”.

Rio Maggiore, lungo la via dell'amore

Rio Maggiore, lungo la via dell'amore

«Il premio ricevuto onora il nostro territorio, i nostri paesi, le nostre terrazze secolari, i nostri sentieri che conducono alla visione di scorci di rara bellezza», esulta l’assessore Luciano Capellini, riconoscente verso le generazioni precedenti che per dedicarsi all’agricoltura hanno modellato il paesaggio. «Proteggerlo è nostro compito. Così come abbellire ancora i borghi e garantire i servizi necessari».
 
Il riconoscimento è arrivato grazie al PlacesRank, un sistema di calcolo elaborato da PaesiOnLine in collaborazione con il CISET, Centro Internazionale di Studi sull'Economia Turistica. L’analisi viene effettuata in base alle recensioni e ai commenti degli iscritti al portale che abbiano visitato la  località; i dati vengono dunque incrociati con altre variabili relative al territorio. Tra le attrazioni locali più amate dagli utenti c’è la Via Dell'Amore, la passeggiata sul mare che collega Riomaggiore a Manarola. E la passione per l’atmosfera romantica di Riomaggiore non arriva a caso: la maggior parte degli utenti che ha recensito il borgo – il 33 per cento - è arrivata per una vacanza di coppia.


 

Le tre capitali più alte del mondo. Lhasa permettendo.

Al di qua dell’Atlantico, a quelle altezze, si trovano solo rocce e nevi perenni, con un po’ di fortuna stambecchi e stelle alpine. Dall’altro lato dell’oceano, tra le montagne del Sudamerica, condor e lama hanno fatto spazio ad aeroporti, grattacieli, autostrade, università. E palazzi del governo.  Le tre capitali più alte del mondo sono tutte lì, una dopo l’altra, nei primi quattromila chilometri di Ande. Affascinanti, vibranti, affollate. Tutte spagnoleggianti, con un punto in comune: sono alte, anzi, altissime.

Secondo l’Enciclopedia Britannica Bogotà, la capitale della Colombia, è a 2640 metri d’altezza; Quito, in Ecuador, è a 2850. E La Paz, in Bolivia, batte tutti con la sua forma disordinata che da 3250 metri sale sino a 4100. Dall’altra parte del mondo, ai piedi dell’Himalaya, la città di Lhasa si ferma a 3650 metri. E’ la “capitale” della regione autonoma del Tibet: ma considerato il non riconoscimento del Tibet come Stato indipendente (fa parte della Cina dal 1950), Lhasa non entra a far parte di questa classifica.

La Paz, 3650 metri.

La Paz, 3650 metri.

La più facile ed economica da raggiungere per cominciare un tour d’altissima quota è quindi la terza in classifica, Bogotà. Il villaggio svizzero Juf, il più alto d’Europa, si vanta dei suoi 2126 metri popolati tutto l’anno da una trentina di persone. Ma meglio non far troppo i gradassi con i colombiani, visto che a 2640 metri sul livello del mare - in una conca tra le montagne dove sono stipati otto milioni di abitanti – c’è la loro capitale. Una metropoli moderna, frenetica, rumorosa, una distesa di case rosso mattone e grattacieli avvolti dall’inquinamento. Alla domanda d’obbligo sulla Colombia, «Ma è sicura?», l’ente del turismo risponde sagacemente: «L’unico rischio è di volerci restare». Versione molto ottimista, ma negli ultimi tempi Bogotà ha fatto davvero passi da gigante sul tema delle sicurezza. Il turismo è in grande ascesa e la città è diventata tra le più dinamiche del Sudamerica dal punto di vista culturale, tanto da essere considerata nel momento d’oro degli ultimi trent’anni.

Bogotà, la Candelaria

Bogotà, la Candelaria

La zona della Candelaria, il barrio coloniale, in pieno centro, è deliziosamente vivace con il suo dedalo di viuzze brulicanti di facoltà universitarie, gallerie d’arte, ristorantini e librerie; la calle 11 è il palcoscenico per i due eroi nazionali contemporanei grazie al museo Fernando Botero e il Centro culturale Gabriel Garcia Marquez. Ma appena cala il buio il quartiere si svuota e non è molto raccomandabile: meglio prendere un taxi e andare nella Zona Rosa, nella Bogotà settentrionale, la parte di città che trabocca di negozi, catene di fast food e hotel eleganti. Il simbolo della città è il Cerro de Monserrate (3152 metri), da raggiungere in funicolare per una vista mozzafiato di Bogotà e della sua tentacolare struttura a scacchiera, con le case che si perdono sin dove arriva lo sguardo.

Bogotà, 2640 metri

A poco più di mille chilometri di Panamericana, in Ecuador, c’è la seconda capitale più alta del mondo, Quito. Ha “solo” un milione e seicentomila abitanti, ma è ancora più alta con i suoi 2850 metri (altezza dove in Europa si fermano pure i camosci). L’aria di montagna si sente più forte - sarà per i prati verdi e i picchi vulcanici che la circondano - ma il centro è davvero caotico con suv che sorpassano automobili americane degli anni ’80 e autobus scassati che sbuffano fumo nero.  Quito era un’importante città incaica e quando nel 1526 arrivarono gli spagnoli - piuttosto che cederla ai conquistatori  - il generale inca Ruminahui la fece radere al suolo.

Quito, 2850 metri

Quito, 2850 metri

Gli spagnoli la ricostruirono e non badarono a spese visto che la città vecchia, patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è un capolavoro di arte coloniale. La collina che domina il centro storico è detta El Panecillo (“la piccola pagnotta”) e sul suo culmine sorge La Virgen de Quito, una Madonna con una corona di stelle e ali d’aquila in piedi su un drago incatenato. La vista più spettacolare di Quito è però dai fianchi del Vulcano Pichincha, che si scala in funivia sino a 4100 metri prima di proseguire a piedi o a cavallo. A mezz’ora dalla città c’è invece “La Mitad du mundo”, il luogo a cui l’Ecuador deve il suo nome. Una linea gialla segna la separazione dei due emisferi: nel 1736 il matematico e geografo  francese Charles-Marie de La Condamine scoprì che l'Equatore passava proprio in questo punto della Terra.

Cusco, 3400 metri.

Cusco, 3400 metri.

Sulla strada per la Bolivia c’è il Perù, che ha la capitale Lima al livello del mare e l’ex capitale dell’Impero Inca, Cusco, a 3400 metri d’altitudine. Cusco è meravigliosa, con tante chiese spagnole che si perdono in un mare di case sormontate da cippi rossi, ed è un’ottima tappa per acclimatarsi in attesa della salita alla capitale più alta del mondo.  La Paz è infatti a due ore dal confine peruviano con i suoi grattacieli che svettano in mezzo al canyon in cui è costruita, ottocentomila abitanti, un’atmosfera frizzante, un turbinio di strombazzate di clacson, murales, venditori di popcorn e una distesa di edifici in mattoni abbarbicati sulle pareti rocciose che la circondano. A questa quota il cielo è blu come il mare, macchiato da nuvolette spumose che corrono veloci spinte del vento.  Nel centro della città siamo a 3650 metri d’altezza: la Marmolada, la regina delle Dolomiti, si ferma trecento metri più in basso.

La Paz, 3650 metri

La Paz, 3650 metri

La Paz

La Paz

La Bolivia è un paese in fortissima crescita economica ma mantiene un forte legame con le sue tradizioni. Tra la folla nelle strade spuntano le bombette delle cholitas, le donne quechua o aymara che vestono in modo tipico con gonne colorate e capelli raccolti in due trecce, mentre nel mercato della stregoneria i feti di lama essicati penzolano tra flauti di pan e berretti di lana d’alpaca.  Le favelas che risalgono il canyon arrivano sino a 4000 metri e si fondono con El Alto, la città satellite che sormonta La Paz. Considerata capitale degli aymara, la popolazione india che vive nei dintorni del Lago Titicaca, sino al 1988 faceva parte di La Paz, ora ne ha addirittura superato la popolazione. Non è molto sicura ma è una tappa obbligata per chi visita la Bolivia in autobus, e offre un altro record da smarcare per chi vorrà farlo in aereo:  con i suoi 4061 metri, l’”Aeropuerto El Alto” è l’aeroporto internazionale più alto del mondo.

(Repubblica.it, 27 luglio 2015)

Wiki Loves Monuments: a caccia di tremila bellezze

La lista dei monumenti è on line, bastano una sbirciata e una macchina fotografica per illustrare l’enciclopedia più grande del mondo. Wikipedia rifà il look alle pagine delle bellezze italiane  e chiede aiuto ai lettori fotografi: professionisti o dilettanti poco importa perché  il concorso fotografico Wiki Loves Monuments Italia è aperto a tutti, senza limiti.

Genova

Genova

Nato nel 2010 in Olanda per dare una pagina di Wikipedia a ogni mulino, il concorso Wiki Loves Monuments è diventato in pochi anni un evento planetario ed entrato nel Guinnes dei primati come il più grande concorso fotografico del mondo. All’edizione del 2012 hanno partecipato 32 nazioni da tutti i continenti con 360 mila immagini. Nel 2013 gli Stati sono saliti a 52, dal Camerun al Venezuela, mentre nell’edizione del 2014 ci sono state numerose new entry africane e asiatiche.

Lago Chiaretto, intorno al Monviso

Lago Chiaretto, intorno al Monviso

Wiki Loves Monuments Italia è coordinato da Wikimedia Italia, l’associazione italiana corrispondente di Wikimedia Foundation, l’ente californiano che gestisce Wikipedia.  «Il concorso è un modo per diffondere il principio della cultura libera», spiega Cristian Cenci, referente italiano del progetto.  «Ma nel nostro Paese è anche un’occasione per portare avanti una battaglia legislativa a favore della cosiddetta “libertà di panorama”». Il Codice Urbani del 2004 sancisce infatti l'impossibilità di fotografare monumenti e diffonderne le immagini senza un’autorizzazione delle istituzioni. «Addirittura le foto del Colosseo che postiamo su Facebook sono potenzialmente illegali».

Parco di Portofino

Parco di Portofino

In Italia è stato quindi necessario il coinvolgimento dei Comuni, che hanno dovuto “autorizzare” i cittadini a fotografare i monumenti. Trecento amministrazioni hanno “liberato” più di 5 mila siti. Nei “monumenti” da fotografare si spazia dal mondo dell’ambiente a quello dell’uomo, con edifici, sculture, siti archeologici e naturali.   Partecipare al concorso è gratuito, la lista dei monumenti da immortalare è su wikilovesmonuments.wikimedia.it. Un concorso agile quindi, “wiki”, proprio come la parola hawaiana che significa “molto veloce” e che ha dato il nome ai siti dove gli utenti possono intervenire sui contenuti.

Dal primo al 30 settembre le fotografie potranno essere caricate su Wikimedia Commons - il grande serbatoio multimediale di Wikipedia e dei progetti correlati - e le dieci foto migliori di ogni paese saranno valutate da una giuria internazionale. Le immagini devono essere rilasciate con licenza CC-BY-SA. In soldoni: se si cita l’autore - e si mantiene la stessa licenza - chiunque potrà copiare, modificare, creare opere derivate e ridistribuire la fotografia.

Non ci si guadagna nulla, ma siamo un po’ tutti in debito con Wikipedia e donare  qualche foto è un buon inizio per entrare nell’olimpo di chi crede davvero nella libera condivisione della conoscenza. 

 

(L'Huffington Post Italia, 16 ottobre 2015)